Una giornata drammatica per la Turchia sul piano economico e finanziario quella di ieri. La lira è arrivata a perdere il 17% contro il dollaro, la borsa ha sfiorato il rosso in doppia cifra e i rendimenti sovrani sono esplosi come mai in un’unica seduta negli ultimi 11 anni, con il bond a 10 anni a segnare +470 punti base. E’ l’effetto della fuga dei capitali da Ankara dopo che il presidente Erdogan ha licenziato il governatore Naci Agbal, terzo in poco più di un anno e mezzo, sostituendolo con un semi-sconosciuto e controverso prof di diritto bancario, Sahap Kavcioglu, che in un quotidiano islamista filogovernativo ha più volte espresso opinioni contrarie agli alti tassi per combattere l’inflazione.
Bond Turchia, rendimenti esplosi in poche ore: decennale a +320 punti base da venerdì
Adesso, gli investitori si aspettano che al prossimo board della banca centrale, in programma per il 15 aprile, il neo-governatore debutti con un taglio dei tassi nell’ordine dei 200 punti base, disfacendo l’ultimo rialzo varato dal predecessore appena 5 giorni fa. Considerando che il tasso d’inflazione a febbraio fosse già del 15,6% e ipotizzando anche solo che non acceleri a marzo, significherebbe ridurre i tassi reali intorno all’1%. Da qui, le vendite furiose di ieri. In generale, poi, i mercati finanziari hanno perso definitivamente fiducia nel presidente Erdogan, il quale dimostra ignoranza sui temi economici e profonda arroganza nell’approcciarvisi.
La crisi turca non è qualcosa che andrebbe presa alla leggera. Anzitutto, parliamo di un’economia da oltre 700 miliardi di dollari e che intrattiene fitti rapporti commerciali. Le esportazioni degli stati dell’Unione Europea verso Ankara ammontano a qualcosa come 60-65 miliardi di dollari all’anno. L’Italia è il secondo partner comunitario dopo la Germania con 9,4 miliardi nel 2019. Il nostro Paese vende ai turchi perlopiù petrolio raffinato, ma anche componenti automotive, di aerei, gioielleria, motori a combustione, etc.
Rischio contagio e colpo all’export UE
Il crollo della lira turca impatta negativamente sulla capacità di acquisto dei consumatori turchi di prodotti esteri. Questo implica il rischio che le esportazioni europee ne risentano negativamente. Non certo una buona notizia per il Vecchio Continente, già di suo sotto pressione in questi mesi per i “lockdown” prolungati contro il Covid. Alcune voci, tuttavia, non dovrebbero essere colpite. Tra queste, principalmente proprio il greggio, una necessità per un’economia che deve importare quasi tutta l’energia che consuma. Per l’Italia, significa che un business di circa 750 milioni all’anno sarebbe teoricamente al sicuro dalle intemperie. E così probabilmente anche quello da circa 300 milioni relativo alla gioielleria, dato che i turchi dovrebbero continuare a comprare preziosi per investire in assets sicuri.
Turchia a rischio collasso finanziario
Altro problema considerevole riguarda le esposizioni bancarie verso il sistema turco. Le banche spagnole sfiorano i 60 miliardi di dollari, pur una frazione dei circa 3.360 miliardi dei loro assets complessivi. Ma il vero problema ha a che fare con il rischio di contagio ai danni delle altre economie emergenti. In sostanza, se i mercati iniziassero a fuggire dai mercati in crescita, a ripiegare sarebbero i tassi di cambio, le azioni e le obbligazioni di svariati stati. E poiché quelli emergenti incidono ormai per oltre il 40% del PIL mondiale, l’impatto sull’economia europea sarebbe elevato.
Tuttavia, la crisi turca scaturisce da fattori specifici, cioè dalle azioni erratiche di Erdogan, come abbiamo spiegato sopra. Pertanto, dovrebbe rimanere circoscritta e, anzi, i capitali defluiti da Ankara potrebbero trovare rifugio in altri mercati emergenti, a loro volta più redditizi di quelli avanzati in questa fase. Tanto per fare un esempio, Russia, Sudafrica, Brasile, India, Messico, Egitto, etc., per quanto alle prese con i rispettivi problemi, non sono la Turchia.