La critica monetarista alla curva di Phillips
Senonché, proprio negli stessi anni in cui gli economisti post-keynesiani assorbivano nella loro teoria gli insegnamenti di Phillips, un noto economista, a capo dell’American Economist Association, Milton Friedman, sconfessava l’esistenza di una simile curva, tirando le orecchie ai colleghi che la accettavano. Friedman spiegò che gli economisti avrebbero compiuto un errore madornale, confondendo il salario nominale con quello reale. La ratio del suo ragionamento fu questa: quando un governo aumenta l’inflazione per cercare di ridurre la disoccupazione, ovvero di stimolare la crescita dell’economia, lo fa cogliendo di sorpresa i lavoratori, i quali si attendono una crescita dei prezzi inferiore a quella reale.
Ciò li induce ad accettare salari nominali più bassi di quelli che accetterebbero, se conoscessero l’effettivo aumento dei prezzi. Le imprese, invece, conoscono bene la loro variazione, essendo esse stesse a fissarli. Ne deriva un’asimmetria informativa, che porta a un mercato del lavoro con più occupati. Tuttavia, spiega Friedman, il miglioramento occupazionale dura poco, giusto il tempo di scoprire la “fregatura”. Infatti, una volta che i lavoratori abbiano appreso il reale livello dell’inflazione, chiederanno aumenti salariali proporzionali, per cui il mercato del lavoro si riporterà al livello occupazionale precedente. Ma – ed è qui la critica più incisiva dell’economista – l’economia non tornerà al tasso d’inflazione precedente alla “sorpresa” della banca centrale, perché i lavoratori hanno ora aspettative maggiori sulla crescita dei prezzi. Dunque, o lo stato si adegua a queste ultime e mantiene l’inflazione al nuovo (più alto) livello o dovrà passare per una fase recessiva del mercato del lavoro, al fine di disinflazione l’economia.