Dalla crisi petrolifera alla Reaganomics
Per questo, conclude Friedman, la curva di Phillips non solo non esiste, ma nel lungo periodo la disoccupazione è compatibile con qualsivoglia tasso d’inflazione, a seconda delle aspettative sui prezzi. L’intervento statale, quindi, peggiora le condizioni economiche, perché da un problema (la disoccupazione) si arriva ad averne 2 (disoccupazione e inflazione). Per questo, il padre del monetarismo invitò i governi ad astenersi dall’adottare politiche monetarie attive per cercare di stimolare la crescita, sostenendo che dovrebbero puntare a ridurre la disoccupazione con altri mezzi.
La critica di Friedman rimase ignorata per oltre un decennio, fino a quando negli anni Settanta non si verificò un fenomeno allora considerato inusitato, ovvero la compresenza di alta inflazione e alta disoccupazione. Era successo, infatti, che la
crisi petrolifera del 1973 aveva fatto esplodere i prezzi del greggio, che a loro volta avevano alimentato una spirale inflazionistica grave in tutto l’Occidente, dipendente dalle materie prime. Le economie importatrici subirono una battuta d’arresto nella loro crescita e alcune andarono persino in recessione. I tassi di disoccupazione s’impennarono, ma ciò sembrò incompatibile con le spiegazioni dei teorici della curva di Phillips, secondo i quali alta inflazione avrebbe dovuto implicare bassi tassi di disoccupazione. Sull’onda del riflusso dalle politiche interventiste in ambito monetario e non solo, l’America virava a destra e a 20 anni dalla storica vittoria di Kennedy, si affidava a
Ronald Reagan, ex attore del cinema americano, il cui pensiero economico era imbastito profondamente delle teorie monetariste di Friedman.