I tassi a zero di questi anni saranno la morte del mercato obbligazionario. Profezia apocalittica? Forse, ma i segnali che ormai i conti non tornino sembrano esservi tutti e negli ultimi mesi si stanno intensificando. Pochi giorni fa, vi abbiamo dato conto del clamoroso risultato di bond emessi da 14 società con rating “junk” ad avere registrato rendimenti negativi sul mercato secondario. In pratica, alcuni titoli ad alto rischio e rendimento infliggono perdite certe a chi li acquista, in quanto le cedole non compensano più le elevate quotazioni.
Modello Vietnam per Kim Jong-Un
Il Vietnam è diventato una piccola Cina, attirando capitali persino da questa. In più, si è messo alle spalle la sanguinosa guerra a cavallo tra anni Sessanta e Settanta e ha allacciato ottime relazioni diplomatiche con gli USA, tanto che qui Donald Trump nei mesi scorsi è stato accolto con particolare giubilo. Sul piano del merito creditizio, però, resta ancora un emittente “junk”. Per Standard & Poor’s e Fitch, il rating è “BB”; per Moody’s, “Ba3”.
Eppure, se guardate ai rendimenti dei suoi titoli di stato, quasi non notereste che il giudizio delle agenzie sia così basso. Per la scadenza a 10 anni, Hanoi offre il 4,4%, mentre su quella a 25 anni non arriva al 5,5%. Certo, di questi tempi sembrano livelli elevati, ma non lo sono. Si consideri che pressappoco questi rendimenti li offriva l’Italia poco prima della crisi finanziaria del 2008, tralasciando il boom accusato in piena tempesta dello spread.
Spread con Treasury ai minimi termini
E c’è di più. Se passiamo alle emissioni di bond sovrani in dollari, abbiamo che il gennaio 2020 e cedola 6,75% (ISIN: USY9374MAF06) offre oggi il 3,1%.
Se anche le obbligazioni “spazzatura” rendono sottozero, iniziate ad avere paura
In teoria, l’unica seria ragione per cui i rendimenti vietnamiti in valuta locale dovrebbero essere così bassi sarebbe che il mercato si attendesse una rivalutazione del dong contro il dollaro e le altre valute forti. E, però, questo si è deprezzato del 10% contro il biglietto verde negli ultimi 4 anni, di quasi il doppio negli ultimi 10 anni. Non un tonfo, ma bisogna considerare che la banca centrale non consente ad oggi fluttuazioni giornaliere in un senso e nell’altro superiori al 3% rispetto a un paniere di 8 valute. Insomma, parliamo di un cambio almeno parzialmente manovrato, anche se a inizio luglio l’istituto ha segnalato di volerlo rendere più flessibile.
Ma il mercato non sconterebbe alcuna svalutazione o deprezzamento sostanziosi nei prossimi anni. Facendo la differenza tra il bond a 5 anni emesso in dollari e quello in dong, scopriamo che il secondo offre un rendimento extra di solo circa lo 0,80%, pari a un cambio atteso a -4% da qui al 2024 contro il dollaro. Non vi sembra un po’ ottimistico? Del resto, il decennale della Grecia rende anch’esso meno del Treasury di pari durata, nonostante parliamo di un emittente andato in default nel 2012, collassato economicamente e finanziariamente e le cui dimensioni economiche restano un quarto inferiori a quelle pre-crisi.