La Francia è la Francia e così Macron fa quel che vuole sul deficit, col plauso dei commissari

La Francia è la Francia, secondo la Commissione europea. E' vero, nel senso che sta messa peggio di tutti gli altri in Europa sul debito. E il confronto ci premia, ma non ditelo a Moscovici.
6 anni fa
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E’ bastato un discorso televisivo registrato e mandato in onda due settimane fa per far sì che la Francia annunciasse senza battere ciglio che aumenterà il deficit l’anno prossimo e lo porterà verosimilmente intorno al 3,5%, violando il tetto massimo del 3% fissato dal Patto di stabilità. Lo ha tenuto il presidente Emmanuel Macron, che già aveva comunicato, anche in questo caso senza passare per alcuna trattativa con Bruxelles, che per il 2019 il target sul deficit sarebbe salito al 2,8%. Adesso, in risposta ai “gilet gialli”, il movimento di protesta contro il rincaro delle accise sul carburante, deciso in un primo momento dal governo Philippe e successivamente rinviato, Parigi intende alzare di almeno 10 miliardi la spesa, aumentando di 100 euro al mese il salario minimo e defiscalizzandolo per le imprese, sospendendo anche l’aumento dei contributi per i pensionati fino a 2.000 euro mensili, e tante altre fantastiche misure a debito.

Qual è stata la risposta dei commissari europei? C’è chi può e chi non può. E la Francia può. Tempo fa, in un impeto di verità, il presidente Jean-Claude Juncker aveva candidamente ammesso che “la Francia è la Francia”. Signori, oggi sarà Natale e dobbiamo essere tutti più buoni, ma inutile menare il torrone e prenderci in giro con l’esame occhialuto dei decimali di ogni manovra di bilancio dell’Italia; inutile auto-fustigarci per avere ereditato uno dei debiti pubblici più alti al mondo. La sintesi di cosa siano l’Unione Europa e l’euro oggi sta tutta qua: la Francia è la Francia. Tautologico, no?

Pierre Moscovici, commissario agli Affari monetari, il francese ex socialista e oggi vicinissimo proprio a Macron, quasi beffandosi del palese conflitto d’interesse nell’esternare valutazioni comparative a dir poco demenziali sulle condizioni fiscali di Francia e Italia, ci ha tenuto a spiegare che Parigi potrà anche sforare il 3%, purché in misura “temporanea e contenuta” – senza il bisogno di trattare alcunché con la Commissione, ça va sans dire – in quanto ha un debito pubblico più basso.

La solita litania che ci andiamo ripetendo persino a casa nostra per quel processo di auto-fustigazione sopra accennato. Eh, già! Peccato che l’Italia un decennio or sono avesse grosso modo lo stesso debito della Francia in rapporto al pil, senza che i commissari ci concedessero niente nemmeno allora. E se è vero che i vincoli di bilancio contemplati nel Patto di stabilità e ribaditi nel Fiscal Compact parlano sostanzialmente solo di deficit nominale, strutturale e debito pubblico, allargando lo sguardo scopriamo che la Francia è messa peggio dell’Italia.

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Il confronto con l’Italia che ci premia

Dal 2008 al 2018, sapete per quanti anni il governo francese ha violato la regola del 3%? 8, dal 2008 al 2016. E l’Italia? 3, dal 2009 al 2011. Con l’anno prossimo, saranno 9 contro sempre 3. Vi sembra normale che a un’economia, che come vedremo sta davvero con le toppe, venga concesso di violare così allegramente le regole, mentre all’Italia si facciano le pulci sulle seconde cifre dopo la virgola, manco fossero le Olimpiadi di matematica? E’ vero, noi abbiamo un debito pubblico sopra il 130% del pil, mentre i nostri “cugini” di poco meno del 100%. Questi numeri possono leggersi in maniera del tutto diversa: secondo la narrativa dell’auto-fustigazione, dovremmo cospargerci il capo di cenere per le colpe dei nostri padri; leggendoli per quello che sono, dovremmo ammettere che sia noi che i francesi violiamo di gran lunga il tetto del 60% del Patto di stabilità e del Fiscal Compact. In altre parole, l’Italia è in torto e la Francia anche, seppure in misura inferiore alla nostra. Ma non per questo andrebbe graziata dai commissari.

Sarebbe come se un assassino venisse incarcerato per avere ucciso 10 persone e un altro se la cavasse con una ramanzina, perché di vittime ne ha fatte “solo” 7.

Andando avanti nella disamina dei numeri, la bilancia tende a pendere sempre più dalla parte dell’Italia nel confronto con i vicini d’Oltralpe. Il settore privato tricolore è indebitato per circa il 112% del pil contro il 203% di quello francese. Sommando debiti privati con quelli dello stato, si ottiene che la Francia risulti l’economia più indebitata d’Europa, mentre l’Italia sarebbe messa sostanzialmente bene, tra le grandi peggio solo della Germania. E a differenza delle imprese francesi, le italiane esportano più di quanto importano dal resto del mondo, segnando un surplus commerciale medio di quasi il 3% all’anno contro un passivo del 3%. Mettendoci dentro pure i flussi finanziari, l’Italia continua a registrare un attivo di quasi il 3% del pil, la Francia un passivo di qualche decimale. Cosa significa? La nostra economia, tanto vituperata, si mostra competitiva e certamente lo è infinitamente di più di quella francese, dove un eccesso di spesa pubblica (56-57% del pil contro il nostro 48-49%) tiene alti i consumi e le importazioni.

E se il debito pubblico italiano fosse più sostenibile di quello francese?

Il debito della Francia è una bomba

Per intenderci, in Italia affluisce ogni anno valuta estera in eccesso con cui riusciamo a finanziare i nostri acquisti e a pagare le cedole e i titoli in scadenza all’estero. La Francia, al contrario, accumula disavanzi ed è, infatti, esposta verso l’estero per quasi un quinto del suo pil (19%) contro il nostro 3%. E considerate che quasi i due terzi del debito pubblico francese (61%) si trova in mano agli investitori stranieri contro il 37% di quello italiano. Ciò significa che Parigi dovrebbe stare attenta più di Roma agli umori dei mercati, in quanto dipende da essi in misura più ampia. E un rialzo dei tassi tende a colpire l’economia francese ben più di quella italiana, se consideriamo anche i debiti privati.

Non dimenticate che il debito pubblico lo rendono sostenibile e lo pagano i contribuenti con le loro tasse. Se i loro redditi (utili per le imprese) venissero defalcati dall’aumento delle rate dei mutui e dei prestiti, sarebbero minori le risorse rimanenti per pagare le imposte al fisco o, in alternativa, dovrebbero ristrutturare i loro debiti con le banche. E nel 2008, è accaduto proprio questa seconda ipotesi negli USA e subito dopo anche in Europa, con gli stati ad essersi trovati costretti a salvare gli istituti ricorrendo al debito pubblico.

Per concludere, cari amici commissari, la Francia è la Francia, nel senso negativo dell’espressione. Parigi è un elefante dentro una cristalleria e che si muove con quella spavalderia tipica di chi non ha nemmeno il sentore delle condizioni finanziarie pessime in cui versa, tanto è vero che strade e piazze transalpine sono state messe a ferro e fuoco per settimane da migliaia di cittadini per una misura – il rincaro delle accise sul carburante – che in Italia alla fine del 2011 è stata ben più drastica, con un aumento di 13 centesimi in un’unica soluzione per effetto del “decreto Salva Italia”. Allora come ora, il terrorismo finanziario che ci auto-inculchiamo con la storia che saremmo la peste del mondo funge da pretesto per una politica fiscale devastante per l’economia. Non sapevamo fino a pochi giorni fa, che i nostri vicini alzano il deficit e il dito medio a Bruxelles con un semplice preregistrato in prima serata, risparmiandosi mesi di ridicole trattative con ridicoli commissari dalle ridicole dichiarazioni. Ah, già: ma la Francia si è impegnata ad azzerare il deficit entro il 2022. Salvo nuovi discorsi presidenziali alle ore 20.00 da qui ad allora!

La Francia di Macron deve tenersi stretta i mercati e l’euro più dell’Italia 

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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