La Grecia non ha pagato ieri la rata da 1,54 miliardi di euro all’FMI. L’annuncio è stato dato dallo stesso istituto, che per mezzo del portavoce Gerry Rice, ha dichiarato che il paese è adesso “in arretrato”, un’espressione più morbida di default, ma che ne equivale per la sostanza. Si tratta del primo mancato pagamento al Fondo da parte di un’economia sviluppata nei 71 anni di storia di quest’ultimo. Per quanto il default verso un creditore pubblico possa apparire un evento formale, le conseguenze saranno tutt’altro che blande.
A partire da oggi, la Grecia non potrà più ricevere gli ulteriori aiuti stanziati dall’FMI e pari a 7 miliardi di euro entro la fine dell’anno e a 18 miliardi in tutto, considerando che il salvataggio dell’FMI spira a metà del prossimo anno. Atene dovrà anche rimborsare all’istituto i circa 650 milioni di euro che ha pagato a maggio, attingendo alle riserve del paese depositate presso lo stesso FMI, seguendo una procedura straordinaria, avallata dal direttore generale Christine Lagarde, data la crisi fiscale ellenica.
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Banche Grecia, la BCE decide oggi sui prestiti
Ma ci saranno conseguenze potenzialmente peggiori per i greci da questa bancarotta. Oggi si riunisce il board della BCE, chiamato ad esprimersi sui fondi ELA, la liquidità di emergenza erogata alle banche elleniche. Ebbene, il default della mezzanotte scorsa legherebbe le mani al governatore Mario Draghi, anche perché ieri è scaduto anche il termine per la proroga degli aiuti dei creditori pubblici (UE, BCE e FMI) ed entro il quale si sarebbe dovuto trovare un accordo. In assenza di quest’ultimo e considerando che la Grecia è di fatto uno stato fallito, le stesse banche si presentano più a rischio, visto che la loro affidabilità è fortemente legata al rating sovrano, ulteriormente declassato dalle agenzie nelle ultime ore.
APPROFONDISCI – La Grecia annuncia controlli sui capitali. Banche chiuse tutta la settimana, è panico Dunque, Draghi ha 3 scelte sopra ogni altra: congelare il tetto dei prestiti, ma non sospendere ufficialmente il programma; aumentare il limite, ma al costo di screditare la natura dello stesso ELA, che non è un piano di salvataggio, bensì un’erogazione di prestiti in emergenza; infine, potrebbe richiedere agli istituti ellenici un collaterale di garanzia maggiore, di fatto ampliando lo sconto, oggi compreso tra il 25 e il 30%, applicato sui titoli di stato greci, in cambio della liquidità. Quest’ultima ipotesi sarebbe la più negativa per le 4 banche sistemiche della Grecia. E’ probabile che Draghi attenda l’esito del
referendum, prima di attuarla, mentre oggi potrebbe limitarsi con il resto del Consiglio dei governatore a non aumentare il tetto dei fondi, anche perché il negoziato tra Atene e i creditori è ripreso ieri sera e avrà un seguito stamattina.
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Il negoziato prosegue oggi, dubbi su referendum Grecia
L’Eurogruppo si riunisce alle 11.30 e dovrà discutere la proposta del governo Tsipras di ottenere un terzo salvataggio della durata di 2 anni, oltre a una ristrutturazione del debito pubblico dai termini ancora ignoti. Poiché la Germania sta tenendo il punto e si dice pronta a trattare, ma intende firmare solo dopo che si sarà celebrato il referendum, gira voce ad Atene che come mossa disperata, il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, potrebbe annunciare oggi ai colleghi che tale voto popolare non si terrà. Così, la Grecia potrebbe ottenere gli aiuti, forse anche una rinegoziazione del debito, saldare la rata pregressa all’FMI e tornare ad essere sostenuto da quest’ultimo.
APPROFONDISCI – La Grecia chiede un terzo salvataggio di 2 anni e la rinegoziazione del debito Peraltro, le richieste del governo ellenico sono parse ieri un pò eccessive. E’ chiaro che se un accordo si dovesse chiudere prima dell’eventuale referendum, lo si farà più sui termini proposti dai creditori. Due sarebbero le spiegazioni di tale atteggiamento del premier
Alexis Tsipras nelle ultime 24 ore: fare credere ai greci, spaventati e arrabbiati per i controlli sui capitali di questi giorni, che il loro governo stia trattando fino all’ultimo con Bruxelles; alzare il più possibile il prezzo, anche in uno stato di evidente debolezza contrattuale. Il punto è che Atene si è cacciata in un vicolo cieco. Con la proclamazione del referendum, Tsipras riteneva che i creditori sarebbero accorsi ai suoi piedi e nel tentativo di scongiurare il fallimento del negoziato, avrebbero ceduto alle sue richieste. E’ accaduto esattamente il contrario e non ha tenuto conto che diverse opinioni pubbliche, tra cui quella in Germania, hanno giudicato questo atteggiamento irresponsabile e irrispettoso dei contribuenti del resto dell’Eurozona, spingendo i rispettivi governi a irrigidirsi, anziché aprirsi di più. Vendere un accordo ai tedeschi, quando il 60% di loro è contrario, non sarebbe facile per la cancelliera
Angela Merkel, che a questo punto chiede solo di attendere l’esito del referendum, che comunque vada metterebbe Berlino e il resto dei creditori in una posizione contrattuale di forza.
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