L’invasione russa dell’Ucraina non ha ad oggi spento le forniture di gas all’Europa, ma nel Vecchio Continente stanno emergendo tensioni tra stati del Nord e del Sud circa le modalità per allentare la dipendenza da Mosca. La settimana scorsa, il premier Mario Draghi ha riunito a Villa Madama i leader di Spagna, Portogallo e Grecia per fare il punto proprio sulla crisi energetica in corso. Due sono i punti d’intesa trovati dai cosiddetti PIGS e sui quali cercheranno di fare fronte comune a Bruxelles: imporre un tetto massimo ai prezzi dell’energia e acquisti congiunti delle forniture di gas.
Il Nord Europa non la pensa così e ha già bocciato questa linea. In particolare, la Germania non vuole sentirne di comprare il suo gas assieme agli altri stati. Nei giorni scorsi, il vice-cancelliere Robert Habeck, esponente dei Verdi e ministro dell’Economia e dell’Ambiente, è volato fino al Qatar per stringere accordi con l’emirato a lungo termine sulle forniture di gas. Per quanto non siano state fornite cifre, è trapelato che i tedeschi si sarebbero garantiti contratti decennali. Difficile che potranno solamente così rimpiazzare il gas russo, che incide per circa la metà delle intere importazioni nazionali ed è pari a 70.000 miliardi di metri cubi all’anno.
Tuttavia, Berlino ritiene che entro l’anno sarà in grado di fare a meno di metà del gas russo importato. Certo, in cambio potrebbe dover sospendere i provvedimenti di chiusura delle centrali nucleari e delle miniere di carbone. Ad ogni modo, la linea del governo Scholz sembra essere quella di puntare sui contratti a lunga scadenza, anziché fare affidamento su quelli spot. In effetti, il principale problema europeo di questi mesi non risiede tanto nell’esplosione dei prezzi del gas a seguito delle tensioni con la Russia, bensì nell’avere negli anni smantellato gli accordi a lungo termine, restando in balia degli acquisti giorno per giorno ed esponendosi così alla volatilità dei prezzi di mercato.
Sul gas in ordine sparso
D’altra parte, anche la strategia tedesca presenta qualche rischio: un anno fa, un mega-wattora di gas in Europa si acquistava per meno di 20 euro, ieri per oltre 100 euro. Siglando contratti a lungo termine con chicchessia, ci si assicura prezzi inferiori a quelli vigenti sul mercato spot, ma probabilmente molto superiori a quelli che saranno tra tot mesi e anni. Dunque, non si approfitterebbe di una loro discesa. Vero è, d’altronde, che i tedeschi hanno accusato un duro colpo con la guerra. Decenni di relazioni diplomatiche e commerciali con Mosca sono andati in fumo (l’America fa festa!) e praticamente la costruzione del gasdotto North Stream 2 non ha avuto senso.
Adesso, i tedeschi vogliono recuperare il terreno perduto sul piano geopolitico. Gli acquisti comuni europei affosserebbero questo loro obiettivo. Perché comprare gas e petrolio da Tizio anziché da Caio non è come scegliere tra il panificio sotto casa o quello all’angolo della strada; in gioco ci sono rapporti diplomatici e economici strategici. E la Germania non vuole diluirli presentandosi in negozio insieme a decine di altri clienti. Allo stesso tempo, non crede che sia una strategia vincente quella di dire al fornitore che non saranno effettuati acquisti oltre certi livelli di prezzo. Per quanto siamo un cliente prezioso, rischiamo così di non legarci ad alcun fornitore specifico e di restare in balia degli eventi. In generale, poi, il Nord Europa ritiene che un tetto ai prezzi rallenterebbe la transizione energetica, ossia gli investimenti in fonti alternative pulite.
Che la Germania non creda agli acquisti comuni lo dimostra anche la costruzione di ben due rigassificatori, i quali serviranno per riportare allo stato gassoso la materia prima (LNG) importata in forma liquida tramite le navi.