Il prezzo del petrolio scenderà sotto i 40 dollari al barile. Se la previsione poteva apparire un tantino esagerata solo un paio di settimane fa, adesso sembra davvero alla portata. E’ quanto hanno affermato gli analisti di Société Générale, secondo i quali dovranno passare mesi, prima che la produzione di greggio inizierà a ridursi, in reazione al crollo delle quotazioni. E allo stesso tempo, è stato calcolato un lasso di tempo di circa 6 mesi, prima che la domanda reagisca al calo dei prezzi.
In sostanza, i fondamentali agiranno nel medio termine, mentre nel breve potrebbero prevalere gli umori degli investitori, che testeranno, a questo punto, la nuova soglia di riferimento, quella dei 40 dollari, sfondandola al ribasso.
APPROFONDISCI – Il prezzo del petrolio scende sotto i $45. Che succede e fino a dove calerà? Dall’inizio del mese il Wti americano è sceso di prezzo del 14%, dopo avere perso il 46% nella seconda metà del 2014. Analogo l’andamento del Brent. La discesa del greggio USA sotto i 45 dollari al barile, avvenuta ieri per la prima volta dall’aprile del 2009, è il segno tangibile che il mercato crede che l’eccesso dell’offerta permanga per tutta la prima metà dell’anno.
Guerra petrolifera
Quella in corso è una vera guerra psicologica e commerciale tra i paesi dell’OPEC e gli altri produttori esterni all’Organizzazione, nonché tra gli stessi 12 membri dell’OPEC. L’Arabia Saudita ha ribadito in questi giorni con il suo ministro del Petrolio, Alì al-Naimi, che non taglierà l’output nemmeno se le quotazioni dovessero scendere a 20 dollari. I sei paesi del Golfo Persico sono convinti che i primi a dover capitolare siano le compagnie petrolifere USA, le quali prima o poi dovranno tagliare la produzione e ancor prima gli investimenti. APPROFONDISCI – Il prezzo del petrolio scende sotto i $50 al barile, previsioni dimezzate per il 2015 OPEC, rivolta contro l’Arabia Saudita. Ma il prezzo del petrolio verrà fatto crollare ancora
La profezia dell’Iran
Ma uno spazientito presidente dell’Iran, Hassan Rouhani, ha dichiarato nelle scorse ore che Arabia Saudita e Kuwait si pentiranno di non avere avallato il taglio della produzione, perché saranno i primi a soffrirne.
Rouhani ha fatto presente che per quanto l’Iran possa soffrire dal crollo delle quotazioni, la sua economia non dipende così strettamente dall’export del greggio – peraltro, oggetto di un embargo dell’Occidente – mentre così non si potrebbe dire dei due paesi arabi. Teheran produce 2,77 milioni di barili al giorno, molti meno dei 3,58 milioni del 2011, prima che l’embargo entrasse in vigore. Le parole di Rouhani hanno più di un fondo di verità. Il Golfo Persico, infatti, sta affrontando un crollo delle entrate fiscali, tanto che si calcola che, pur con quotazioni stabili a 65 dollari, il loro deficit mediamente si attesterà quest’anno al 6% del pil. A farne le spese sarà la popolazione locale, che dovrà iniziare a fare a meno dei generosissimi
sussidi energetici concessi negli ultimi decenni dai governi.
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Sussidi addio?
La sola Arabia Saudita spende il 10% del suo pil per mantenere ad appena 12 centesimi di dollari al litro il prezzo della benzina al suo interno e per fare pagare quasi niente anche l’elettricità. L’uso di energia elettrica pro-capite in Kuwait è la più alta al mondo, proprio a seguito dei sussidi. Abu Dhabi ha iniziato ad alzarne i prezzi da gennaio, seguita dagli altri paesi. In effetti, per i governi del Golfo si tratta di un’occasione irripetibile: tagliare adesso i sussidi, quando le quotazioni sono basse, le entrate languono e gli effetti sulla popolazione sono meno duri.
Anche perché, lamenta la compagnia petrolifera statale saudita Aramco, i sussidi tengono altissimi i consumi interni di petrolio, riducendo quello disponibile per le esportazioni, tanto da arrivare a stimare che se i consumi interni dovessero continuare a crescere al ritmo dell’8% all’anno, Riad si troverebbe tra una ventina di anni in difficoltà ad esportare, quando oggi è ancora il primo esportatore di greggio al mondo. Ma tagliare i sussidi non è facile. Su di loro si è basata la politica del consenso degli ultimi 40 anni, dalla
crisi petrolifera degli anni Settanta. Grazie a loro hanno sopravvissuto con anche un discreto consenso interno regimi dispotici e poco avvezzi al rispetto dei diritti civili. Senza i sussidi, questo potrebbe venire meno, anche se la loro riduzione sarà graduale, grazie agli ingenti fondi sovrani che questi paesi dispongono. Alla fine, però, potrebbe avere avuto ragione Rouhani: si pentiranno di avere fatto crollare i prezzi.
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