Tutti i colpi subiti dai francesi
Tuttavia, qualche giorno dopo la nazionalizzazione annunciata da Macron, Calenda ha acceso i fari su TIM, sostenendo che Vivendi sarebbe entrata nel capitale e salita fino a una posizione di controllo, senza averne comunicato alcunché al governo italiano, come prevederebbe un decreto del 2012, emanato dall’allora governo Monti e relativo ai cosiddetti assets “strategici”. Esso consente al governo di esercitare la “golden power”, ovvero poteri pregnanti per bloccare operazioni ritenute lesive dell’interesse nazionale.
Vivendi rischia di vedersi comminata una maxi-multa per centinaia di milioni di euro, perché dalle indagini dell’esecutivo è emerso che sarebbe diventata azionista di controllo di fatto di TIM, senza avere adempiuto agli obblighi di comunicazione. Da Parigi si nega di possedere il controllo della compagnia italiana, ma nel frattempo i francesi hanno subito un sestuplo scacco da parte delle autorità tricolori: congelamento dei diritti di voto per la quota in Mediaset oltre il 10%, multa in arrivo sull’affare TIM, indagini della Procura meneghina sull’affare Mediaset, i dubbi espressi dall’Agcom sul mantenimento di quote di potenziale controllo in due società dominanti nel settore delle tlc, minaccia dello scorporo tra rete e servizio di TIM e obbligo di consolidare i bilanci francesi con quelli della controllata telefonica italiana. (Leggi anche: Scontro Italia-Francia su Stx-Fincantieri getta la maschera UE sul libero mercato)
Ipotesi spin-off in TIM
Nonostante Calenda e il resto del governo italiano abbiano sempre negato che l’apertura del fascicolo su Vivendi-TIM sia anche solo minimamente legato al caso Fincantieri-Stx, non serve un esperto di strategie politiche per capire che sia esattamente così. Roma ha reagito a un atto illegale e arrogante di Macron, che per ragioni di pura politica interna ha espropriato gli italiani di un controllo acquisito nel pieno rispetto delle norme e secondo le regole del mercato, mostrandosi liberale a parole e dirigista nei fatti.
Non è finita, perché ieri de Puyfontaine si è detto “aperto” all’ipotesi di scorporo della rete dal servizio in TIM. Già, perché il governo di Roma punterebbe a sottrarre alla compagnia italiana proprio quell’asset strategico di cui sopra, separandolo dal resto del patrimonio aziendale e creando una realtà a parte, magari parzialmente quotata in borsa. Così facendo, i francesi si ritroverebbero a possedere formalmente la stessa compagnia, ma nei fatti svuotata del suo reale valore. Lo “spin-off” sarebbe operazione complessa già dalla sua valorizzazione, sulle cui stime esistono profonde divergenze di vedute, ma che mediamente si porrebbero nel range dei 10-15 miliardi di euro. Sarebbe come acquistare un immobile stracolmo di pezzi di antiquariato pregiato e qualcuno venisse a portarseli via. La Consob, infine, ha imposto a Vivendi di consolidare i suoi bilanci con quelli di TIM, essendo questa una controllata, operazione che appiopperebbe ai francesi il debito netto della compagnia pro-quota, ovvero per un valore di quasi 6,5 miliardi.
Siamo nel pieno di una “guerra” politico-finanziaria tra Italia e Francia, paradossalmente scatenata dall’arrivo alla presidenza di Macron, che avrebbe dovuto rappresentare una garanzia per gli investitori stranieri e per i rapporti di buon vicinato con il resto d’Europa. Al contrario, l’uomo si è mostrato astuto, anche se adesso sta facendo pagare ai suoi stessi imprenditori il prezzo della propria politica “alla Giove”, per usare una metafora utilizzata dallo stesso presidente per auto-descrivere sé stesso all’Eliseo.