Il governo sembra voler prendere tempo sulla riforma pensioni. A causa della guerra in Ucraina, tutte le attenzioni sono rivolte ad altri fronti, a cominciare da quello del contenimento della spesa energetica.
La riforma pensioni e il confronto coi sindacati pare quindi essersi arenato. Eppure la questione va risolta. Doveva già essere stata risolta lo scorso anno, poi rinviata per un più ampio confronto con i sindacati.
La riforma pensioni in tempo di guerra
Ma il nodo pensioni, lungi dall’essere condizionato dalla guerra in Ucraina, sembra essere imbrogliato da altri fattori.
Il rischio è che si impantani trascinandosi ancora per mesi. Entro fine marzo, però, dovrà essere inserito nel Documento di Economia e Finanza (Def) una bozza di riforma pensioni che poi sarà discussa con la legge di bilancio.
Una cosa, però, è certa. Le deroghe alle pensioni ordinarie finora esistenti scadono a fine anno e, in assenza di interventi legislativi, rischiano di non essere rinnovate. In sostanza Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 102.
Alla peggio, il governo si limiterà a prorogare di un altro anno tutto il pacchetto delle pensioni anticipate rinviando ogni decisione a chi verrà dopo le elezioni del 2023. E questo sembra lo scenario più preoccupante, ma anche probabile visto il periodo critico che stiamo attraversando.
Le uscite anticipate a 62 anni
Nell’incertezza dei tempi i sindacati rientrano in pressing sul governo. Chiedono che si discuta della possibilità di mandare tutti in pensione a partire dai 62 anni di età. O con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.
Il governo vorrebbe, invece, che si proseguisse sulla falsariga di quota 102, cioè tutti in pensione a 64 anni, ma con ricalcolo contributivo della pensione.
In definitiva, le parti restano ancora distanzi. Tuttavia, il mutato scenario economico derivante dalla crisi in Ucraina imporranno sicuramente di fare scelte diverse che tengano maggiormente conto della maggiori spese da sostenere per le pensioni.