Nei primi quattro mesi dell’anno, la banca centrale di Ankara ha venduto 16,1 miliardi di dollari a sostegno della lira turca, di cui 3,3 miliardi in aprile. Se l’intervento dell’istituto era parso almeno avere stabilizzato il cambio dopo il -44% accusato contro il dollaro nel 2021, nelle ultime sedute la crisi si è riaffacciata. All’inizio della settimana scorsa, per la prima volta da dicembre il cambio ritoccava quota 15, ampiamente superata nelle sedute successive. Diversi operatori hanno confidato alla stampa straniera di avere ricevuto chiamate da parte della banca centrale negli ultimi giorni, durante le quali alle banche locali sarebbe stato chiesto di limitare la fornitura di valuta straniera alle società turche.
Anche il governo è sceso in campo per mettere un freno alla crisi dell’economia turca. Ha lanciato un appello all’industria manifatturiera locale per “congelare” i prezzi temporaneamente. L’inflazione in aprile è salita al 70%, mai così alta dal 2002. I tassi d’interesse restano fissati al 14%, per cui in termini reali scendono al -56%. Sono i più bassi al mondo. Una politica monetaria di questo tipo non si regge più in piedi, ma il presidente Erdogan ha promesso un nuovo modello economico ai turchi, caratterizzato dal cambio debole per far diventare il paese un mercato di esportazioni.
Peggio non alle spalle per lira turca
Con elezioni in programma nel 2023, poco ci manca che il presidente non passi dagli appelli ai fatti, imponendo un tetto ai prezzi. Sarebbe un boomerang per l’economia turca, che rischierebbe di precipitare in uno scenario venezuelano. Fiorirebbe solo il mercato nero, mentre la carenza dei beni accentuerebbe l’inflazione. Per la lira turca non esistono speranze credibili di stabilizzazione senza un drastico e immediato rialzo dei tassi.
In realtà, i costi della produzione stanno esplodendo e, di riflesso, i prezzi al consumo. Una politica scriteriata, che rischia di trascinare l’economia nazionale definitivamente nel baratro. E dopo due anni di pandemia e una guerra in corso tra Russia e Ucraina nel cuore d’Europa, un’altra crisi alle porte del nostro continente sarebbe l’ultima cosa che ci servirebbe. Anche perché avrebbe conseguenze destabilizzanti sul piano (geo)politico.