La motosega che serve a Giorgia Meloni

La premier Giorgia Meloni ha bisogno di imbracciare la stessa motosega del presidente argentino Javier Milei per avere successo.
7 mesi fa
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Pensioni flessibili nel 2025 ma partendo da un premio a chi resta al lavoro oltre l'età pensionabile e ritoccando di nuovo il meccanismo della rivalutazione delle pensioni.
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Lo spread è sceso sotto 130 punti base, la crescita del Pil resta per il momento sopra la media dell’Eurozona e gli investitori nutrono fiducia sul governo italiano. Ma con un debito pubblico ancora a ridosso del 140% del Pil la compiacenza è un lusso che la premier Giorgia Meloni sa di non potersi permettere. Lo scorso anno, il deficit fiscale è sceso solo al 7,2%, a causa dell’impatto fatale del Superbonus. Il saldo primario è stato negativo per quasi 71 miliardi di euro. Significa che lo stato ha speso tale cifra in eccesso rispetto alle sue entrate, al netto della spesa per interessi.

Secondo la Nota di Aggiornamento al Def appena redatto, nel 2027 l’Italia avrà un avanzo primario di poco superiore ai 52 miliardi. In pratica, un miglioramento di oltre 120 miliardi.

Nessuna austerità finora con Meloni

Sembra tanto, ma bisogna considerare che partiamo da livelli davvero pessimi. Lo scorso anno, la spesa primaria corrente è stata di 881,4 miliardi. Secondo lo stesso governo, al 2027 salirà a quasi 950 miliardi, sebbene in rapporto al Pil scenderà dal 42,3% al 40,1%. Basta questo per affermare che si tratti di austerità fiscale? In termini percentuali, la spesa primaria registrerebbe una crescita del 7,7% in quattro anni. Nello stesso periodo, l’inflazione è stimata al 7,4%. In soldoni, i due valori tenderebbero a salire della stessa entità. In termini reali, non ci sarebbe una spesa primaria più bassa al termine di questa legislatura rispetto allo scorso anno.

La motosega di Milei funziona

Una buona notizia per i fan della spesa pubblica. Ma ciò di cui Meloni avrebbe bisogno per trovare le risorse necessarie a risanare i conti dello stato e a finanziare il maxi-taglio delle tasse, è di farsi prestare dal presidente argentino la motosega. Un anno fa, in piena campagna elettorale, lo stravagante Javier Milei girava il suo paese con questo arnese al fine di far comprendere visivamente ai cittadini cosa li avrebbe attesi nel caso di vittoria: un taglio drastico della spesa pubblica.

I politici, si sa, la sparano grossa quando si candidano a una carica per poi ridimensionare le proprie promesse.

Invece, Milei è stato di parola in questi primi mesi di presidenza. Ha tagliato sussidi e investimenti, così da riportare il bilancio in pareggio nel primo trimestre del nuovo anno. Non accadeva dal 2008. Su base annua, l’avanzo tenderebbe al 6% del Pil. Un’operazione che sembrava impossibile fino a, praticamente, qualche mese addietro. Il successo sta avendo un effetto importante: riportare la fiducia del mercato a Buenos Aires. Qualcuno già afferma che se Milei continuerà così, l’Argentina diventerà una meta per i capitali stranieri.

Deficit spending mentalità diffusa a Roma

Meloni parte fortunatamente da condizioni assai migliori. Non siamo un’economia fallita, abbiamo un’inflazione quasi nulla e una moneta solidissima. Ma certa mentalità tra politici e cittadini è assimilabile a quella imperante da molti decenni nel paese sudamericano. C’è la forte convinzione che solo spendendo di più la nostra economia potrà accelerare il suo ritmo di crescita. Anche i fautori dell’ordine fiscale sostengono perlopiù maggiori entrate e non un taglio della spesa pubblica. Ed è invece quest’ultimo che serve per implementare il programma di governo. Su 900 miliardi di euro, non volete trovare qualche decina di miliardi da ridurre strutturalmente?

In teoria, possibili risparmi si possono ottenere anche facendo crescere complessivamente la spesa primaria meno dell’inflazione. Tuttavia, questo taglio lineare (in termini reali) si presta a critiche fondate. Si tratterebbe di un modo per non decidere su quali voci concentrare i tagli, finendo per sacrificarne alcune di rilevanza sociale e persino di sostegno all’economia. Pensate a istruzione e sanità. Tra l’altro, il NaDef non prospetta obiettivi ambiziosi per il medio-lungo termine.

Ridurre il deficit al 2,2% significa portarlo a livelli in linea con gli ultimi anni pre-Covid. Un’economia gravata da un debito pubblico così alto, però, ha bisogno di tutto, fuorché continuare a fare deficit per oltre una cinquantina di miliardi all’anno.

Meloni deve tagliare la spesa pubblica

Perché a Milei sta riuscendo quello che l’Italia di ogni colore politico non sa fare? Il senso di disperazione a cui gli argentini sono arrivati dopo decenni di peronismo incontrastato ha creato le premesse per accettare grossi sacrifici in cambio di un miglioramento visibile in tempi brevi. In fondo, accadde un po’ anche a noi alla fine del 2011, quando ogni opposizione sociale fu messa a tacere dall’incubo dello spread. Non appena questo venne meno, puntuale veniva ripresentata dai politici la lunga lista della spesa. Meloni è a capo del primo governo con un mandato elettorale chiaro dopo oltre un decennio di alleanze contro natura ed esecutivi tecnici. Se non se la sente a imbracciare la motosega, perlomeno usi le più eleganti forbici. Per Elly Schlein sarà anche un insulto, ma per l’Italia è una necessità.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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