Per 2 decenni, il petrolio ha fatto la ricchezza della Norvegia, rappresentando oggi un quinto della sua economia da 500 miliardi di dollari e alimentando le entrate pubbliche con generosi dividendi allo stato e trasferimenti ai contribuenti, sotto forma di erogazioni di beni e servizi resi possibili proprio grazie alle entrate floride della vendita del greggio. Il petrolio ha dato vita al maggiore fondo sovrano del pianeta, ufficialmente un ente pensionistico, che vale la bellezza di 830 miliardi di dollari e che investe sul mercato azionario di tutto il mondo, oltre che sul comparto obbligazionario e sul real estate.
Dimensioni fondo Norvegia a rischio?
Entrate più basse dal petrolio implicano una minore accumulazione di capitale per il fondo. Nel primo semestre, è stata solamente di 17 miliardi di corone, contro una media di 60 miliardi dell’ultimo decennio. Fin qui, si tratta pur sempre di una crescita. Ma il governatore della banca centrale, Oeystein Olsen ha avvertito che con prezzi a 60 dollari al barile, gli apporti di nuovi capitali al fondo cesserebbero. E c’è un’altra questione che non può essere sottovalutata. Quasi i 2 terzi degli investimenti di quest’ultimo sono in azioni, mentre quasi un terzo in bond. Ora, i rendimenti obbligazionari sono scivolati ai minimi storici presso le principali economie del pianeta, a causa delle politiche monetarie ultra-accomodanti delle banche centrali, mentre l’attesa di un rialzo dei tassi USA sta già scuotendo da settimane l’azionario.
Conti pubblici Norvegia solidi
Ne consegue che non solo il fondo potrebbe non crescere di dimensioni in questa fase (cosa affatto drammatica per i norvegesi), ma potrebbe anche essere intaccato, costretto da un lato a dismettere parte degli investimenti per ragioni di mercato, dall’altro a finanziare la spesa pubblica norvegese, che in rapporto al pil vale il 45,7% e che difficilmente il governo taglierà nel breve termine. Ad oggi, la situazione dei conti pubblici è tutt’altro che preoccupante, grazie a una certa solidità fiscale di base. Il 2014 si è chiuso con un surplus di bilancio del 9,1% del pil, meno della metà del 18,7% toccato nel 2009, ma comunque consistente, 3 volte più alto del minimo dell’ultimo ventennio, che si ebbe nel 1995 (3,2%). In pratica, prima che da un avanzo si passi a un deficit di bilancio di tempo ne dovrebbe correre. Di certo c’è che dovrà rallentare la dinamica di crescita della spesa pubblica, pari al 5,5% del pil in 6 anni. APPROFONDISCI – http://www.investireoggi.it/petrolio-quotazioni-ancora-in-calo-e-deboli-per-anni-la-norvegia-vede-guai/