La nuova “guerra” del Golfo è appena iniziata e stavolta passa per l’economia

L'Arabia Saudita vuole sganciarsi dal petrolio e per accelerare la crescita del settore privato punta a contrastare gli Emirati Arabi.
4 anni fa
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La "guerra" tra sauditi ed alleati EAU

Ieri è arrivato un annuncio storico e al contempo stupefacente da Riad. Il ministro per gli Investimenti, Khalid al-Falih, ha reso noto che a partire dal 2024 non sarà più possibile per le società straniere che abbiano sede in uno degli stati della regione del Golfo Persico stringere accordi con l’Arabia Saudita. La norma riguarderà tutte le società che puntano a siglare contratti sottoposti al vaglio dal Ministero delle Finanze, ma non riguarderà quelle quotate in borsa, fossero anche controllate dallo stato.

Secondo il ministro, l’obiettivo sarebbe di eliminare le “perdite economiche” e far sì che le società che vogliano fare affari con il regno vi trasferiscano almeno la sede.

L’annuncio arriva un mese dopo la riunione annuale di Davos, per la prima volta in videoconferenza a causa del Covid, durante il quale ben 24 colossi internazionali hanno dichiarato che intendono spostare la loro sede regionale nell’Arabia Saudita, tra cui Deloitte, Bechtel e PepsiCo. Sempre il ministro ha escluso che la misura sia mirata a contrastare la leadership commerciale degli Emirati Arabi Uniti, stretto alleato di Riad. Ma è evidente che sia così.

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Le tensioni nel Golfo Persico

La regione del Golfo Persico è attraversata da numerose tensioni. A gennaio, ufficialmente il regno saudita ha posto fine all’embargo contro il Qatar, che durava da oltre tre anni e mezzo. L’emirato venne accusato dagli stati confinanti di spalleggiare il terrorismo internazionale e di intrattenere stretti legami con l’Iran. Da qui, l’isolamento. Ma pare che sulla decisione abbiano pesato motivazioni anche di carattere economico, tra cui la volontà di contenerne l’appeal internazionale dopo che l’emirato si era aggiudicata l’organizzazione dei mondiali di calcio per il 2022.

Gli Emirati Arabi Uniti sono da decenni un riferimento mondiale per i capitali.

La loro ascesa si ebbe all’indomani del passaggio di Hong Kong sotto il dominio cinese, quando gli investitori asiatici, in particolare, temettero che la fine del potere britannico portasse a un contenimento delle libertà personali ed economiche nel territorio autonomo. Dubai è diventata l’immagine del mondo arabo moderno, meta persino di vacanze low-cost nel fine settimana per stranieri di tutto il pianeta. L’economia saudita è ancora oggi molto legata al petrolio e sin dal 2016 il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) ha svelato un suo piano, noto come “Vision 2030”, con cui intende allentare la dipendenza dalla materia prima sviluppando il settore privato.

Tra i progetti faraonici (costo stimato di 500 miliardi di dollari) previsti vi è la nascita di Neom, una città al confine con l’Egitto, che avrebbe l’ambizione di diventare una sorta di City finanziaria della regione e in cui si applicherebbe una legislazione diversa e più liberale di quella saudita. MbS è ben consapevole che ad oggi, malgrado il forte appeal dell’economia saudita per le sue enormi potenzialità, molti investitori stranieri continuino a preferirle Dubai per lo stile di vita molto più simil-occidentale. Tra l’altro, negli Emirati Arabi Uniti è consentito l’uso di alcolici e di recente sono state anche liberalizzate le unioni di fatto, così come sarà consentito agli stranieri di adottare gli usi dei paesi di origine in tema di matrimonio ed eredità. Infine, lo stato concederà la cittadinanza agli stranieri residenti e che si siano distinti nel campo professionale, imprenditoriale o artistico.

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Innovare per non soccombere

E’ evidente la “guerra” tra stati del golfo per accaparrarsi la fetta più grande dei capitali stranieri e diversificare le rispettive economie. Peraltro, i sauditi investiranno per i prossimi anni 40 miliardi di dollari all’anno, attingendo al fondo sovrano.

Nel 2020, al fine di contenere il deficit fiscale, l’IVA è stata triplicata. Fino a qualche anno fa non esisteva proprio. MbS sta cercando sin dalla sua nomina a regnante di fatto di fornire all’estero un’immagine più liberale del regno, tra l’altro concedendo alle donne il diritto di guidare, di andare allo stadio e riaprendo i cinema. Ma la repressione usata per arrestare sul nascere le opposizioni in seno all’establishment saudita ha appannato questa immagine di riformatore, per quanto sia indubbia la volontà del principe di modernizzare il regno, addirittura, promettendo nei mesi scorsi libertà di culto e la possibilità di aprire chiese cristiane.

Dopo la crisi del petrolio seguita al picco toccato nel 2014, Riad è diventata consapevole che non potrà confidare ancora a lungo ed eccessivamente su questo settore. La disoccupazione nel paese è al 15% e solo il settore privato potrà creare posti di lavoro per farla diminuire. L’apertura alle libertà civili è legata proprio alla necessità del regno di incentivare uomini e donne a lavorare, contemporaneamente tagliando loro i sussidi con cui per decenni è stata garantita a tutti una vita quasi gratis grazie ai proventi petroliferi. La quotazione di Aramco in borsa era servita poco più di un anno fa proprio a segnalare la svolta, rendendo la compagnia petrolifera statale sempre meno la gallina dalle uova d’oro a cui attingere per mantenere i sudditi e sempre più una realtà privata gestita secondo criteri puramente aziendali.

Ma lo scontro con gli Emirati Arabi non l’avevamo previsto. Adesso, sarà interessante verificare quale sarà la reazione di Dubai. La concorrenza tra i due stati farebbe gongolare multinazionali e lavoratori stranieri, i quali verosimilmente otterranno benefici ancora maggiori da entrambi i governi per investire e trasferirsi. A tenere insieme gli alleati sarà la comune inimicizia per l’Iran, ragione per cui gli sceicchi eviteranno uno scontro frontale. D’altra parte, da leader di fatto dell’OPEC, l’Arabia Saudita ha il potere di manovrare le quotazioni internazionali del greggio e di contenere o finanche azzerare le perdite accusate dagli alleati nelle fasi di crollo sui mercati.

Indispettire Riad non sarebbe saggio neppure per Dubai, con cui già qualche screzio vi è stato nei mesi scorsi per la mancata ottemperanza di quest’ultima ai tagli dell’offerta di greggio concordati nella primavera scorsa. E l’annuncio di ieri alza il piano dello scontro.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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