Garantire la paghetta ai propri figli, durante la separazione e/o dopo la sentenza di divorzio, è un dovere che ricade sul genitore che è tenuto al mantenimento? Quando e quanto spetta versare per il mantenimento ordinario? E quali sono le spese che rientrano nella categoria di “straordinarie”?
Quando spetta il mantenimento (e chi lo deve garantire in caso di divorzio)
Ai sensi degli articoli 315 bis e 316 bis del codice civile, il mantenimento viene definito come l’obbligo di garantire la crescita, l’educazione e l’istruzione dei figli nati o adottati durante il matrimonio anche dopo la pronuncia scioglimento o la cessazione degli effetti civili.
Infatti: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” (art. 315 c.c.). Inoltre: “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli” (art. 316 c.c.).
Come stabilito dalle Legge n. 898, 1 dicembre 1970 (la cd. Legge sul divorzio): il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre di prestare idonea garanzia – reale o personale – al mantenimento dei figli. Tale dovere, viene anche specificato, ricade sul coniuge obbligato (chi versa il mantenimento). Il diritto di riceverlo, invece, è del coniuge beneficiario.
L’obbligo, specifica il legislatore, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori.
Come si calcola il mantenimento
Riguardo al calcolo del mantenimento, anche la Giurisprudenza si è espressa. Per esempio, con la sentenza n.
“La determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore”.
A tal proposito, in tema di accertamento della capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, alle risultanze delle dichiarazioni fiscali dei redditi dev’essere attribuito valore solo indiziario. Il giudice, infatti, dispone di ampio potere istruttorio, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli. L’indagine finalizzata a calcolare l’assegno di mantenimento, per questo motivo, può prescindere dalla prova addotta dalla parte istante e attingere a tutti “i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio” (Cass. civ. n. 3905/2011).
La paghetta può essere considerato mantenimento?
Le spese a carico del genitore a cui spetta il mantenimento si distinguono in “spese ordinarie” e “spese straordinarie“.
Sono spese ordinarie tutte quelle finalizzate a far fronte a bisogni e necessità quotidiane (vitto, alloggio etc.).
Sono spese straordinarie, invece, quelle costituite dagli “esborsi necessari a far fronte ad eventi imprevedibili o addirittura eccezionali”. Fanno parte di questa categoria le “esigenze non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli minori fino a quel momento, o comunque spese non quantificabili e determinabili in anticipo o di non lieve entità rispetto alla situazione economica dei genitori” ( Cass. Civ., n. 6201, del 13 marzo 2009).
Fatte queste premesse, quindi, qualcuno potrebbe ritenere – erroneamente – che la paghetta rientri di fatto tra quelle che sono considerate dal legislatore spese ordinarie. Tuttavia, per definire meglio questo passaggio, anche questa volta la Giurisprudenza ci viene in aiuto.
Con l’ordinanza n. 25593/2020, la Cassazione (Pen. Sez. VI), ha stabilito che non ci possono essere forme alternative rispetto al mantenimento così come definito dalla legge (e individuato e calcolato dal giudice). Pertanto, il genitore, nel provvedere ai bisogni del figlio (anche economicamente), non può arbitrariamente corrispondere una paghetta e pensare di aver ottemperato ai propri doveri.
Mantenimento non versato al coniuge, la paghetta al figlio può evitare la denuncia?
Provvedere al mantenimento dei figli significa versare periodicamente una somma economica all’altro coniuge, finalizzata alla copertura delle spese necessarie per la sua crescita. Qualsiasi altra forma di corresponsione non solo non è accetta, ma espone a reato. Come stabilito dall’art. 570 del codice penale, infatti, le pene afflitte in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare – sia in fase di separazione che divorzio – si applicano a chi:
- malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
- fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Inoltre, come previsto dall’art. 570 bis del c.p., le pene previste dall’articolo 570 si applicano “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Non è un reato quindi solo il mancato versamento, ma anche quello corrisposto in maniera diversa, alternativa o non pattuita e disciplinata dalla legge. Come, appunto, una paghetta settimanale o mensile corrisposta al figlio.