E’ una strage silenziosa quella che si sta abbattendo nel mondo sugli allevamenti di maiali. La chiamano “ebola dei maiali”, ma l’espressione corretta sarebbe febbre suina africana. Ha decimato già la produzione in Cina, dove quest’anno risultato morti 150 milioni di capi, entro la fine del 2019 si calcola che i decessi saranno pari al 55% del totale. Non esiste cura per questa malattia, che si è già diffusa in 50 stati del mondo e adesso è già arrivata in Indonesia, paese da 270 milioni di abitanti, dove sono morti 3.000 maiali.
La crisi suina contagia il mercato obbligazionario in Cina
La carne suina è essenziale per la cucina asiatica e lo si capisce guardando ai prezzi alimentari. A novembre, in Cina sono esplosi del 19,1% su base annua, in accelerazione dal già elevato +15,5% di ottobre. E nello stesso mese, l’inflazione si è portata al 4,5%, ai massimi da circa 8 anni e praticamente triplicata rispetto ai livelli di inizio 2019. I prezzi della carne suina si sono impennati del 50% e questo ha chiaramente fatto infuriare centinaia di milioni di consumatori cinesi, tanto che le autorità hanno dovuto fare ricorso alle scorte per frenare la corsa dei prezzi.
In ogni caso, i danni sono ingenti e su vari piani. Per prima cosa, i produttori stanno perdendo fatturato prezioso, seppure non tutti. C’è chi sta vivendo una vera e propria stagione d’oro dei profitti. E’ il caso di Muyuan Foodstuff Co., i cui utili nel terzo trimestre hanno segnato +260% su base annua. Grazie soprattutto a questo boom, il titolare della quota del 60% nella società, tale Qin Yinglin, ha visto salire il suo patrimonio netto del 341% a 8,56 miliardi di dollari, +6,6 miliardi dall’1 gennaio scorso. E dire che l’uomo iniziò ad allevare appena 22 maiali nel 1992. Da allora, di strada ne ha fatta parecchia.
Cina in allarme con il boom dell’inflazione
I danni della peste suina riguardano anche il piano macro.
E in Italia? Sebbene da noi l’epidemia non sia arrivata – ma nell’elenco dei paesi colpiti figura il Belgio – non significa che siamo immuni dalle sue conseguenze. Nelle scorse settimane, ad esempio, i produttori altoatesini di speck hanno lanciato l’allarme rincari, notando come i prezzi della carne suina quest’anno siano aumentati del 40% e pur rassicurando di non importare dalla Cina, bensì di usare materia prima italiana, tedesca, olandese e austriaca. In ogni caso, la decimazione dell’offerta globale ha già spinto al rialzo i prezzi anche nei mercati in cui la peste suina non c’è. E così, a Natale pagheremo con ogni probabilità i salumi a tavola più cari.
Peste suina africana: dall’Asia la malattia virale sta arrivando anche in Europa