L’amministratore delegato Carlo Tavares non ci sta e risponde alle critiche di questi giorni circolate tra la stampa italiana contro il presunto progetto di Stellantis di delocalizzare ulteriormente la produzione di auto dall’Italia verso altri paesi. L’ex ministro allo Sviluppo e oggi leader di Azione, Carlo Calenda, ha svelato l’esistenza di una lettera inviata dalla società ai fornitori italiani per convincerli a spostarsi in Marocco. In allegato un dépliant con tanto di elenco dei vantaggi normativi e di costo.
Stellantis chiede aiuti di stato
Tavares reagisce sostenendo di avere chiesto incentivi al governo italiano già nove mesi fa. Ed ecco confermata la sottile strategia della minaccia che sta dietro alla cassa integrazione e all’invito ai fornitori a spostarsi in Marocco: aiuti di stato per mantenere i livelli di produzione, occupazione e gli stabilimenti aperti nel nostro Paese. Il manager spagnolo ritiene che questa sia la situazione venutasi a creare dopo che l’Europarlamento ha legiferato per vietare la vendita di auto con motore a combustione dal 2035.
Insomma, servono quattrini da investire e Stellantis li chiede al governo italiano, mentre già ha investito miliardi in Francia per l’economia circolare e il potenziamento della filiera elettrica. Consapevole dell’inaffidabilità dell’azienda ex Fiat, il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, ha parlato della necessità di attirare un secondo produttore di auto. Eventualità non temuta da Tavares, che avverte, però, delle conseguenze negative che ciò avrebbe sugli stabilimenti italiani di Stellantis. In altre parole, per l’AD non ci sarebbe spazio per due produttori di auto nel nostro Paese. Se ne arriva un altro, la sua società sarà costretta a delocalizzare ulteriormente.
Tavares lancia la sfida a Ford dall’Abruzzo
Una posizione al limite dell’assurdo, ma tant’è.
Tornando a Urso, la volontà di attirare un secondo produttore di auto appare lodevole, ma allo stesso tempo non facile. Le aziende non hanno solitamente bisogno di ricevere una chiamata da qualche governo per decidere dove e quanto produrre. Basano le loro decisioni su una complessa analisi benefici-costi. Se nessun altro produttore oltre a Stellantis si è affacciato mai, probabile che costruire auto in Italia non sia considerato un business redditizio. Per quali ragioni? A parte quelle suggerite dallo stesso Tavares, ci sono una pressione fiscale proibitiva, una burocrazia soffocante, troppi livelli decisionali che si contrastano a vicenda (stato centrale, regioni, comuni, ecc.) e allungano i tempi per qualsiasi pratica, infrastrutture carenti, lontananza dai mercati di sbocco più profittevoli, costo del lavoro elevato, quantità insufficiente di maestranze a certi livelli, ecc.
Servono riforme per attirare nuovi produttori
Non bisogna, però, nemmeno essere ipocriti e nascondere il sole con la mano. Da tempo le multinazionali si spostano laddove i governi riescono loro a garantire migliori condizioni ad hoc. Ad esempio, nei mesi scorsi Intel ha deciso di costruire due stabilimenti in Germania per la produzione di chip, grazie ai 9,9 miliardi di euro promessi dal governo federale. Non appena questi aiuti di stato sono stati messi in dubbio a causa del caos di bilancio seguito alla bocciatura dei conti pubblici da parte della Corte Costituzionale, gli americani hanno minacciato di andarsene in Polonia o altrove.
Il problema è proprio questo. L’Italia non dispone di risorse pubbliche per poter attirare nuovi investitori. Abbiamo un bilancio dello stato già appesantito dal fardello del debito. Dunque, come possiamo convincere un secondo produttore di auto a venire da noi? Con le riforme. Ma necessitano di tempo, generalmente di anni. E presuppongono la messa in discussione dello status quo, cosa che a Roma risulta alquanto difficile da far passare come concetto.
Stellantis impegnata a salire a 1 milione di auto in Italia
Urso punta a 1,5 milioni di vetture prodotte ogni anno. Stellantis si è impegnata a raggiungere quota 1 milione, circa il doppio dei livelli attuali, se escludiamo i veicoli commerciali. Nel frattempo, sul mercato domestico vendiamo non più di 1,5 milioni di auto all’anno, sebbene siamo primi in Europa per numero di auto immatricolate rispetto alla popolazione. La media comunitaria è di 560 per 1.000 abitanti, da noi saliamo a 684. A conti fatti, circolano sulle nostre strade qualcosa come 7,3 milioni di veicoli in più che negli altri paesi. Tantissimi, eppure il ricambio resta basso. Le famiglie non hanno risorse a sufficienza per comprare un’auto nuova e la durata media si è allungata a 12 anni e mezzo, con punte di 14 e mezzo per i motori a benzina.