Di Paul Krugman, New York Times – Ecco i dati sulla rigidità verso il basso dei salari nominali nella zona euro (e anche nei paesi vicini), che in Europa, dove l’approccio alla crisi alla fine si riduce alla strategia di aggiustamento nota come “svalutazione interna”, rappresenta un grande problema: si suppone cioè che i paesi che nel periodo 2000-2007 hanno sperimentato forti afflussi di capitali possano ritrovare la competitività perduta riducendo i costi del lavoro, ma è davvero difficile se i salari nominali devono scendere.
Ora, ci sono state varie pretese di successo della svalutazione interna. Alcune si basano su presunti picchi della produttività, che sembrano soprattutto illusioni statistiche (ad esempio, l’Irlanda sembra andar bene perché Pharma regge, mentre tutto il resto crolla). Altre contano su alcuni dati complessivi sui salari, che includono i tagli selvaggi alle retribuzioni del settore pubblico. Tuttavia, Eurostat ha appena pubblicato i dati sulle retribuzioni orarie, escluso agricoltura e pubblica amministrazione (pdf), che mostrano una variazione molto ridotta dei salari nominali, tranne che in Grecia. Ecco le variazioni percentuali dal 2008 al 2012:
Grecia -11,2
Irlanda 0,8
Spagna 8,3
Estonia 7,0
Lettonia 1,3
Lituania-1.4
Questo non significa che non c’è stata nessuna svalutazione interna; le retribuzioni medie dell’eurozona sono aumentate del 8,4 per cento, quindi tutti i paesi tranne la Spagna hanno guadagnato competitività in termini relativi (la Spagna ha guadagnato negli ultimi anni). Ma rimane il fatto che la svalutazione interna sembra molto difficile da fare, proprio quello che gli euroscettivi avevano detto fin dall’inizio.
Articolo originale: DNWR in the EA