La ripresa del Portogallo tra luci e ombre, le differenze con la Grecia e i rischi futuri

La ripresa economica del Portogallo per alcuni è un mistero, mentre può essere spiegata, sebbene presenti anche numerose ombre che gravano sul futuro.
6 anni fa
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Fresco di upgrade da parte dell’agenzia Standard & Poor’s, che ha alzato da “BBB-” a “BBB” con prospettive “stabili” il suo rating sovrano, il Portogallo può esibire un altro dato assai importante: ha chiuso il 2018 con un deficit di appena lo 0,5% del pil, il più basso da quando è tornato alla democrazia negli anni Settanta. Sembra un’altra era, quando il disavanzo fiscale di Lisbona si assestava sulla doppia cifra, culminando all’11,4% del 2010, costringendo il governo socialista dell’allora premier José Socrates Carvalho Pinto de Sousa a chiedere aiuto alla Troika (UE, FMI e BCE), ottenendo stanziamenti per 78 miliardi di euro.

Fu il terzo “bail-out” internazionale di uno stato dell’Eurozona dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani nel 2010, dopo Grecia e Irlanda.

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Da allora, acqua sotto i ponti ne è passata tantissima. Il Portogallo è stato transitato verso la crescita dal governo conservatore di Pedro Passos-Coelho, che si è assunto la responsabilità di varare misure di austerità impopolari, non riuscendo per un soffio a essere rieletto alla guida del paese nell’ottobre del 2015, quando in Parlamento si è formata una nuova composita maggioranza tutta a sinistra, guidata dal premier socialista Antonio Costa e che tiene insieme anche verdi, comunisti e sinistra radicale. Quando Costa assunse il potere, si temette in tutta Europa un secondo caso Tsipras, ossia il disfacimento delle politiche di risanamento dei conti pubblici e il ritorno agli anno bui della crisi.

I numeri del “miracolo” portoghese

Nulla di tutto questo è accaduto. Anzi, se è vero che il governo ha inizialmente allentato alcune misure di austerità riguardanti, in particolare, i dipendenti pubblici, per il resto ha proseguito sulla strada del risanamento, anche beneficiando – in questo è stato fortunatissimo – di una ripresa economica già in corso nell’ultimo periodo del precedente esecutivo.

Il pil è cresciuto complessivamente di circa il 10% nel quinquennio 2014-2018 e adesso possiamo affermare formalmente che il Portogallo sia uscito dalla crisi esplosa nel 2008, esibendo una ricchezza superiore di oltre un punto percentuale, mentre in Italia ancora giace a circa 4,5 punti inferiore.

Gli sforzi di Lisbona sono stati premiati. Oggi, i rendimenti sovrani lusitani sono più bassi di quelli italiani lungo l’intera curva delle scadenze, attestandosi sotto lo zero fino ai 3 anni e viaggiando intorno alla metà dei BTp sul tratto decennale. In effetti, grazie alla ripresa e all’abbattimento del deficit, il rapporto debito/pil è sceso dal 130,6% del 2014 al 121,5% dello scorso anno. Resta altissimo, ma la tendenza è chiaramente positiva, mentre in Italia il debito pubblico continua a ristagnare da anni sopra il picco massimo del 130%. C’è chi parla di “miracolo” per definire questa ripresa inspiegabile e certamente imprevista. Diciamocelo con franchezza: nessuno avrebbe scommesso un euro bucato sul fatto che una economia del Sud Europa sarebbe riuscita in pochi anni ad uscire dal guado, specie guardando a quanto accadeva e continua ad accadere nella Grecia devastata dalla crisi.

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Le differenze con la Grecia

In cosa consiste il miracolo lusitano? Dicevamo, deficit azzerato piuttosto velocemente. Qualcuno ribatterebbe che Atene avrebbe fatto di meglio, passando da un disavanzo superiore al 15% nel 2009 a un avanzo dello 0,8% nel 2018. Verissimo, ma ci sono due differenze di non poco conto. La prima è che tale miglioramento è stato grosso modo possibile solo grazie a tre salvataggi internazionali, che hanno sostanzialmente tirato fuori la Grecia dai mercati finanziari, per cui oggi l’83% del suo debito è nelle mani dei creditori pubblici e la gran parte di esso non richiede fino al 2022 il pagamento degli interessi, né la restituzione del capitale.

Dunque, il saldo in sé è “gonfiato” dai risparmi concessi dai governi dell’Eurozona. Se i greci dovessero rifinanziarsi interamente sui mercati, chiuderebbero il bilancio in deciso deficit. Ciò in Portogallo sta avvenendo solo marginalmente.

Secondariamente, la Grecia ha tagliato il disavanzo perlopiù alzando la pressione fiscale, aumentata in un decennio di quasi 9 punti di pil. Il Portogallo ha anch’esso aumentato le entrate, ma solo di 2,5 punti di pil e portandole a meno del 35%, cioè intorno alla media OCSE, 4-5 punti in meno della Grecia e circa 8 dell’Italia. Questo significa che il suo risanamento non ha strangolato l’economia, essendo avvenuto sul fronte della spesa pubblica, il cui rapporto con il pil è sceso da quasi il 52% del 2010 al 44,7% già nel 2016, il primo anno pieno sotto l’attuale governo. Al contrario, l’economia ellenica ancora oggi risulta ridotta di un quarto rispetto al 2007.

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Le ombre sulle ripresa del Portogallo

Ma sarebbe sbagliato guardare solo alle luci del Portogallo, perché di ombre ve ne sono e sottovalutarle sarebbe un rischio per la stessa Lisbona. Parte di questo successo lo si deve al boom del turismo, con presenze record di 21 milioni nel 2018, di cui 12,7 relative a stranieri. L’industria contribuisce per oltre un decimo alla formazione del pil. I flussi si stanno dirigendo verso lo stato atlantico del Sud Europa, attratti dai prezzi relativamente bassi, ma forse anche per effetto delle tante tensioni nel Mediterraneo, che hanno dissuaso negli ultimi anni molti turisti dal mettere piede in Nord Africa e Medio Oriente, ripiegando per paesi più sicuri dal pericolo terrorismo, tra cui la stessa Italia. Dunque, una parte della crescita portoghese sarebbe legata a contingenze, anche se non è detto che Lisbona non riesca a trasformarle in una tendenza stabile di lungo periodo.

Guardando all’insieme delle esportazioni, notiamo un sensibile aumento rispetto al 2011, anno dell’umiliante richiesta di aiuto: +4,4% del pil.

Tuttavia, di pari passo sono aumentate anche le importazioni di 3,5 punti di pil, con la conseguenza che la bilancia commerciale è solo marginalmente migliorata, restando in pesante passivo di 8,5 punti di pil. A titolo di confronto, l’Italia segna da anni avanzi nell’ordine del 2-3%. Insomma, l’economia lusitana si mostra ancora molto poco competitiva, segno che la “svalutazione interna”, avvenuta tramite l’abbassamento del costo reale del lavoro, non abbia ad oggi dispiegato del tutto i suoi effetti.

Se l’export va male, la domanda interna offre qualche ragione per essere impensieriti. Gli investimenti pubblici, considerati un volano per la crescita (vedasi il dibattito italiano attorno ai cantieri bloccati, tra cui la TAV), sono stati tagliati ad appena il 2,1% del pil, una percentuale in sé modesta, ma che appare ancora più bassa, se si considera che il loro valore netto è stimato al -1,2%. Significa che il governo starebbe investendo meno del deprezzamento delle infrastrutture pubbliche, il che ci porta a concludere che, a meno che il paese non cada a pezzi nei prossimi anni (strade, porti, ferrovie, ponti, autostrade, scuole, ospedali, etc.), dovrà accelerare la spesa per questo capitolo, con inevitabile impatto negativo sui conti pubblici.

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La lezione del Portogallo

Infine, per quanto miracolo sia stato, non dimentichiamo che il pil pro-capite in Portogallo superi di poco i due terzi di quello italiano, attestandosi nel 2018 a 19.600 euro, grosso modo quanto nel Meridione e metà della Germania. Non stiamo parlando di un’economia povera propriamente detta, ma nemmeno di una molto ricca. Ad ogni modo, ha impartito una lezione preziosa al resto d’Europa: lavorare senza mettere in discussione i cardini del sistema economico giova a creare un clima di fiducia tra famiglie, imprese e investitori, che alla fine paga. A differenza di Atene, Lisbona ha litigato nei limiti della ragionevolezza con Bruxelles e si è messa in testa che i problemi del suo debito andavano risolti all’interno, senza accampare scuse e additare improbabili complotti internazionali.

Se oggi un suo bond decennale rende l’1,25% contro il 2,50% di un BTp è perché il mercato si fida della capacità di Lisbona di risolvere i suoi problemi inseno all’Eurozona, tanto che il suo ministro delle Finanze, Mario Centeno, guida da un anno l’Eurogruppo, a riconoscimento dei risultati ottenuti dal paese negli ultimi anni. E il Partito Socialista gode di una notevole popolarità, raccogliendo quasi il 40% dei consensi per i sondaggi, all’incirca gli stessi che ha ottenuto alle scorse elezioni amministrative, quando ha raggiunto il suo record storico. Un caso più unico che raro di questi tempi per un partito di sinistra, nonostante abbia avuto la fortuna (lo ribadiamo) di essere arrivato al governo a tavola imbandita.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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