La scuola italiana, almeno dal punto di vista dell’inclusione sociale e dell’equità, sarebbe la migliore d’Europa: a dirlo sono gli ultimi dati statistici provenienti dall’ente OCSE. Questo annuncio è stato dato praticamente da tutti i media generalisti nazionali e le fanfare hanno suonato a festa soprattutto nel PD che ha rilanciato quello che viene definito l’eccezionale risultato della ‘Buona Scuola’: una ridda di commenti entusiastici, dal premier Matteo Renzi al ministro Fedeli, passando per la sempre agguerrita Puglisi, la tanto criticata responsabile scuola del Partito Democratico.
Ecco, Scuola, assunzioni 2017 e contratto nazionale: la vittoria di Renzi porterà a una svolta?
I dati OCSE e la ‘Buona scuola’: troppa ideologia, il rischio ‘bufala’ è dietro l’angolo
Mentre, dunque, abbiamo ascoltato i commenti entusiasti di chi ha affermato che la scuola italiana, stando ai dati OCSE, svolgerebbe a pieno la sua funzione di ascensore sociale e di equità, non possiamo non sottolineare, innanzitutto, che la questione appunto dell’uguaglianza di accesso e di possibilità non è assolutamente presente nel testo della ‘Buona scuola’. Un docente ha dimostrato, infatti, che, sin dal testo del settembre 2014, la parola ‘equità’ non è presente, mentre a farla da padrone è il lessico ‘aziendale’ e ‘bancario’ di merito, valutazione, efficacia ed efficienza, e così via. Ma qualcuno potrebbe obiettare che si tratti soltanto di una questione linguistica. E, invece, i dati dell’OCSE sono stati letti e interpretati in chiave ideologica ed è sempre il professore di cui sopra (che ha scritto un’interessante missiva alla redazione di LaTecnicaDellaScuola) a svelare l’arcano.
Qui Concorso scuola 2018 e FIT: il PD cerca consensi ma è ‘utopia’, le cattedre non ci sono.
La ‘bufala’ mediatica sulla scuola italiana migliore d’Europa e la ‘malafede’ dei governanti
Occorre innanzitutto spiegare i dati dell’OCSE. Ebbene, si mettono a confronto i test PISA del 2000 (su comprensione di un testo, scienze e matematica) con i test PIAAC del 2012: ad essere oggetto dell’indagine sono coloro che nel 2000 avevano 15 anni e adesso dovrebbero essere entrati nel mondo del lavoro – le persone sono le medesime. Lo studio dimostra, allora, come fino all’età di 15 anni molte scuole di molti paesi sono davvero inclusive, riducendo al minimo lo svantaggio che può derivare dalla provenienza familiare, ma che poi, quando si tratta di trovare lavoro o accedere all’università, la forbice tra le differenti classi sociali di provenienza si allarga: semplificando al massimo, fino a 15 anni si è tutti uguali, ma poi conta il reddito della famiglia di provenienza.
Ecco il prospetto dello studio OCSE:
E l’Italia? Ebbene, il nostro paese è il più inclusivo all’età di 15 anni e questo dato è vero; ma risulta essere uno dei meno inclusivi a distanza di 12 anni. Anche in questo caso, semplificando al massimo, l’Italia è il paese in cui, per costruirsi un futuro vero e reale, lavorativo e soddisfacente, conta maggiormente il reddito della famiglia di provenienza: altro che equità e ascensore sociale; il nostro paese, anche da questo punto di vista, è fermo e i dati ISTAT, resi noti proprio ieri, mostrano come moltissimi giovani italiani hanno già perso la possibilità di trovare un lavoro, figuriamoci di ‘ascendere’ socialmente. Bufala mediatica, dunque, e malafede da parte di Renzi e del ministro fedeli: un’altra occasione persa per affrontare davvero i problemi.