Dopo mesi, anzi anni di attesa, la Securities and Exchange Commission (Sec) presieduta da Gary Gensler ha approvato il via libera negli Stati Uniti dei primi undici Etf sui prezzi spot di Bitcoin, garantiti da collaterale. Una decisione storica, destinata definitivamente a cambiare lo scenario per la “criptovaluta” più popolare al mondo e che proprio in questi giorni ha compiuto quindici anni di vita. La quotazione è schizzata fino a 47.647 dollari, portando la capitalizzazione complessiva sopra 933 miliardi. Mentre scriviamo, comunque, risulta scesa in area 46.000 dollari e per una capitalizzazione di 900 miliardi.
Cosa significa quanto è appena accaduto? Ieri sera, quando in Italia erano le ore 21.50, l’authority di vigilanza sulla borsa americana ha risposto positivamente alle richieste arrivate da diverse case d’investimento, tra cui BlackRock. Questo è il più grande fondo obbligazionario al mondo con asset gestiti per oltre 10.000 miliardi di dollari. La richiesta ha riguardato la possibilità di replicare il prezzo di mercato dei Bitcoin, consentendo così agli investitori di puntare sulla moneta digitale senza acquistarla fisicamente.
Etf Bitcoin sdoganano business su cripto
Gli Etf sono fondi a gestione passiva, cioè che si limitano a replicare l’andamento di un asset o indice sottostante. Nello specifico, saranno tenuti ad acquistare Bitcoin man mano che la domanda sale. Questo espediente consentirà ad un pubblico più vasto, che finora si era tenuto alla larga dal mondo cripto per il timore di andare sulle apposite “exchanges”, di entrare sul mercato. Per questo la decisione della Sec di ieri è considerata “bullish” dagli analisti, anche se non necessariamente implicherà un nuovo boom delle quotazioni nell’immediato.
Gli effetti degli Etf su Bitcoin sarebbero più a lungo termine e, soprattutto, si traducono sin da subito nello sdoganamento di un asset guardato con estremo sospetto dalla finanza cosiddetta “tradizionale”, per non parlare delle istituzioni governative. In un certo senso, è come se da ieri la superpotenza mondiale abbia deciso di tagliarsi i ponti alle spalle per cavalcare questo cripto-business che nel complesso vale ormai quasi 2.000 miliardi di dollari.
Verso nuovi massimi di prezzo con l’halving?
Vi erano già prodotti legati alle criptovalute, ma con riferimento ai futures, cioè ai prezzi futuri e non agli Etf fisici. Nel prosieguo di quest’anno, Bitcoin subirà un processo noto come “halving“, il dimezzamento nel ritmo di crescita dell’offerta. Avviene ogni quattro anni e ha sempre portato a un boom dei prezzi. L’ultima volta fu nella primavera del 2020, quando questi esplosero in appena diciotto mesi da 8.000 a 69.000 dollari. Il precedente massimo era arrivato alla fine del 2017 sopra 19.000 dollari. Qualcuno azzarda che stavolta vedremmo i 100.000 dollari entro il medio periodo.
Di certo c’è che anche i big della finanza hanno cambiato idea su Bitcoin in qualche caso. Clamoroso il caso di Larry Fink, CEO di BlackRock, che fino a qualche anno fa aveva definito la “criptovaluta” una sorta di moneta utile al riciclaggio di denaro, mentre di recente l’ha valutata persino un “oro digitale”. Quest’ultima espressione ne capta la tendenza deflattiva, visto che la quantità di moneta immessa in circolazione è fissata e limitata nel tempo da un algoritmo. Se la domanda sale, inevitabilmente il prezzo non può che salire. I sostenitori di Bitcoin ritengono che sia un asset difensivo contro l’inflazione, esattamente come l’oro fisico.
Bitcoin segno di sfiducia verso finanza tradizionale
A nessuno sfugge, poi, che la nascita di Bitcoin per opera di un ignoto Satoshi Nakamoto avvenne in coincidenza con la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09. La sfiducia verso il sistema bancario e finanziario era ai massimi livelli e la reazione delle banche centrali, che azzerarono i tassi di interesse e immisero grandi quantità di liquidità sui mercati, acuì la sensazione che le monete fiat fossero destinate all’implosione, scalzate da asset meno manipolabili e che garantiscano il potere di acquisto nel tempo.