Il Tesoro italiano ha il suo bel da farsi ogni anno, dovendo mediamente emettere nuovi titoli del debito pubblico per circa 400 miliardi di euro, per almeno il 90% a copertura dei bond in scadenza. Vi siete mai chiesti come avvenga nel concreto il loro collocamento sul mercato? Esistono due procedure per emettere debito: con la tecnica delle aste e tramite consorzio. In questo secondo caso, il Tesoro concorda con banche e altre istituzioni finanziarie i termini delle emissioni. Normalmente, però, sono le aste il metodo tramite cui i titoli vengono venduti ai privati.
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Sin dall’invio della lettera del Tesoro alla Banca d’Italia sul cosiddetto “divorzio” tra i due enti nel 1980, è stato stabilito un metodo di collocamento dei bond, che ci appare fondamentalmente incomprensibile. In pratica, ogni operatore, tramite le banche, può inviare al Tesoro per via telematica fino a 3 domande in relazione a ogni bond emesso e fino alle ore 11:00 del giorno del collocamento. Ciascuna domanda dovrà prevedere prezzi (rendimenti) diversi. Scaduto il termine, l’accettazione delle domande non è più possibile e il Tesoro provvede a ordinare le richieste ricevute per ciascun bond in funzione decrescente di prezzo o crescente di rendimento. Qual è l’anomalia del funzionamento di questo tipo di asta? Le richieste verranno accolte tutte allo stesso prezzo “marginale”, quello più basso. Esempio: Tizio si propone di acquistare un BTp a 10 anni e con cedola al 2% a 95, Caio a 95,50 e Sempronio a 96. Tutti e tre si vedranno aggiudicare i bond a 95, il prezzo più basso offerto, ovvero al rendimento più alto.
Questo sistema si presta a pratiche collusive ai danni del Tesoro.
Le possibili ragioni dell’asta marginale
Ma non è proprio la Germania ad opporsi strenuamente alla “monetizzazione” del debito pubblico, quella a cui la lettera del divorzio tra Tesoro e Bankitalia pose fine 38 anni fa, quando a Via Nazionale fu comunicato di non avere più alcun obbligo di coprire le emissioni non collocate sul mercato? In effetti, siamo al limite della legalità, stando a quanto dispone il Trattato di Lisbona sul modus operandi della BCE. E per questo l’Italia non sarebbe in grado di adottare la stessa tecnica di aggiudicazione dei bond della Germania. Come farebbe il Tesoro a rifinanziarsi sui mercati, se ai prezzi dati non ottenesse un riscontro totale tra gli investitori? A differenza della Bundesbank, Bankitalia non potrebbe intervenire e sarebbe necessaria una seconda asta, cosa che anche oggi avviene, ma per importi limitati al 25% per la prima riapertura delle aste di BTp e al 10% per le riaperture successive (e i BoT).
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Quale sarebbe il senso di una simile tecnica di asta? Non certo le ricostruzioni dei soliti complottisti alla ricerca di misfatti alla luce del sole, quanto la volontà dello stato italiano di attirare più capitali possibili alle aste, consapevole di non godere di una reputazione tale da potersi permettere alternative apparentemente meno favorevoli agli investitori. In sostanza, saremmo vittime del nostro scarso peso negoziale. Non vogliamo certo dire che l’esplosione del debito pubblico italiano o gli alti rendimenti siano conseguenza delle aste marginali, ma certo che sembra essere arrivato il momento di apportare sostanziali cambiamenti a una tecnica, che non sembra sensata, se è vero che di collocamento in collocamento sentiamo comunicarci dal Tesoro che i rendimenti siano lievitati, nonostante la domanda sia anch’essa aumentata. C’è qualcosa che non quadra in tutto ciò, perché se il mercato adocchia con maggiore interesse i nostri BTp, almeno transitoriamente dovremmo assistere a un calo e non a un aumento dei relativi rendimenti. Non giova alla trasparenza il fatto che a fissare i rendimenti sia colui che offre di meno. In sostanza, una competizione al ribasso, come se vendessi casa a chi fosse disposto a pagarmela di meno. Un premio alla sfiducia, o alla furbizia.