Il presidente della Consob, Paolo Savona, ha rilanciato il dibattito sui cosiddetti BTp “irredimibili” o “perpetui”, che l’economista ha definito senza fronzoli anche “di guerra”. Si tratta di quelli che nel gergo finanziario vengono anche chiamati “consols”, che sta per “consolidated annualities” o “annualità consolidate”. Parliamo di obbligazioni senza una scadenza formale, che semmai prevedono una data per l’esercizio della “call” da parte dell’emittente, assegnando a questi la facoltà (non l’obbligo) di rimborsare i titoli. Regno Unito e USA li hanno emessi in passato, vuoi per finanziare programmi bellici, vuoi anche per realizzare grossi programmi di investimenti pubblici.
Le caratteristiche di un BTp perpetuo per superare la crisi fiscale da Coronavirus
Nel settore privato, di bond perpetui ne esistono parecchi. Vengono emessi dalle banche e, generalmente, prevedono date a distanza di 5 anni dal loro collocamento sul mercato, a partire dalle quali poter esercitare la call. Perché mai un investitore dovrebbe acquistare un titoli di credito che non gli verrebbe mai rimborsato? Per percepire un reddito stabile e per sempre. In effetti, le obbligazioni perpetue offrono cedole elevate, offrendo un reddito che non si percepirebbe facilmente acquistando obbligazioni finanche a lunga scadenza.
Inoltre, non è nemmeno detto che bisogna rassegnarsi al mancato rimborso. Si può sempre optare per rivendere i bond sul mercato secondario, incassando il capitale alle quotazioni date, ma chiaramente esponendosi al rischio di prezzi inferiori a quelli a cui si è investito. Ad ogni modo, il gioco potrebbe valere la candela, qualora le alte cedole incassate dovessero aver soddisfatto l’investitore. Ad esempio, pensate se vi offrissero un bond perpetuo con cedola al 5% e dopo 10 anni riusciste a rivenderlo a 95 centesimi. Avrete incassato nel frattempo cedole per un ammontare complessivo del 50%, a fronte delle quali avrete subito una perdita alla data del disinvestimento di appena il 5%.
Il BTp di guerra così non conviene
Il problema con il BTp “di guerra” di Savona è che egli propone di fissare la cedola a un massimo del valore-obiettivo sull’inflazione della BCE, cioè al 2%, del tutto detassato. Ma sappiamo che il BTp 2067, il più longevo sinora emesso dal Tesoro, offriva ieri circa il 2,50% lordo e, anche tenuto conto dell’eventuale detassazione, il perpetuo si mostrerebbe poco remunerativo. Il 2% per un bond simile potrebbe permettersi di lanciarlo la Germania, il cui Bund a 30 anni continua a offrire intorno allo zero percento. Anzi, Berlino potrebbe anche fissare una cedola ben più bassa e troverebbe ugualmente domanda sufficiente sul mercato.
Nel caso dell’Italia, il 2% sarebbe ridicolo, teoricamente capace di appena coprire l’inflazione nel medio-lungo periodo. Non è quanto ci si attenderebbe da un BTp irredimibile. Perché mai non comprare, in alternativa, un titolo a 30 o 50 anni e percepire un rendimento più alto, esponendosi a minori rischi? Già, perché bassa cedola e mancata scadenza implicano una duration elevatissima, cioè elevata volatilità delle quotazioni rispetto alle variazioni dei rendimenti. Non si avrebbe nemmeno la ragionevole fiducia di poter rivendere il bond a prezzi accettabili dopo tot anni.
E il problema sussiste, non solo per il relativamente alto rischio sovrano dell’Italia, bensì anche per il possibile surriscaldamento dei tassi d’inflazione presso le economie mature, provocato dall’eccessivo allentamento monetario delle rispettive banche centrali, le quali stanno con ogni evidenza puntando a una monetizzazione dei debiti sovrani e corporate, cioè a fregare proprio gli obbligazionisti, facendo in modo che ricevano meno di quanto non crescano i prezzi, così da sgonfiare il valore delle passività dei governi e delle imprese. Quel 2% indicato da Savona rischierebbe di nemmeno bastare a mantenere intatto il potere di acquisto del capitale investito.
I BTp irredimibili di Savona hanno il sapore di un ricatto ai risparmiatori italiani