La Turchia ha affidato alle banche il mandato per emettere un bond in dollari in scadenza nel 2028. La decisione è arrivata in una fase relativamente positiva per l’obbligazionario di Ankara. Gli spread con i T-bond americani sono scesi ai minimi da un anno. Un trend che sta coinvolgendo nel complesso i mercati emergenti. I prezzi dei titoli in circolazione sono risaliti ai massimi da 2-3 mesi.
Ad esempio, il bond in dollari a 5 anni, scadenza 24 settembre 2027 e cedola 8,6% (ISIN: USM88269US88), ieri prezzava a 98 centesimi.
E il bond in dollari a 10 anni, scadenza 20 settembre 2033 e cedola 6,5% (ISIN: US900123DD96), si aggirava intorno ai 77,50 centesimi, in rialzo dai 67 a cui era imploso a luglio. Il rendimento è sceso al 10,17%, a premio di circa 600 punti base (6%) sul decennale americano.
Anche bond in dollari rischiosi
Ma c’è da fidarsi? Se guardassimo al solo dato del debito pubblico, al 42% del PIL nel 2021, diremmo proprio di sì. Pensate che l’Italia ha chiuso nello stesso anno sopra il 150%. In realtà, le condizioni macro della Turchia appaiono tutt’altro che confortanti. I rating assegnati dalle agenzie internazionali ad Ankara sono B/B/B3 da parte di S&P, Fitch e Moody’s.
Il debito turco sarà pure basso, ma ripagarlo in valuta estera sta diventando ogni mese più complicato. Le riserve valutarie della banca centrale ammontano a circa 114 miliardi di dollari. Ma al netto delle passività, scendono a soli 13 miliardi. E sottraendo le riserve alimentate dalle operazioni swap il loro valore scende ancora a -59 miliardi. Depurando il dato, infine, dagli accrediti del governo, siamo sui -64 miliardi.
In altre parole, senza i continui prestiti nei confronti di banche commerciali e banche centrali, la Turchia oggi non disporrebbe di valuta con cui pagare i debiti e importare beni e servizi.
Rischio sovrano sale
E i bond in dollari sono tutt’altro che un modo furbo per investire in Turchia senza assumersi un rischio di cambio apprezzabile. Nel dicembre scorso, per porre un argine al crollo del cambio il governo varò un piano per sostenere i depositi delle famiglie in valuta locale. Stato e banca centrale coprono l’eventuale deprezzamento della lira per la percentuale superiore ai tassi d’interesse offerti dalle banche. Ad oggi, questo meccanismo è costato 8 miliardi di dollari.
Questo significa, in soldoni, che il costo del mancato rialzo dei tassi è fatto ricadere sui conti pubblici. Nel frattempo, la banca centrale continua a difendere la lira “bruciando” riserve e aumentando così il rischio sovrano per le emissioni di bond in dollari e altre valute straniere. Gli alti rendimenti non traggano, dunque, in inganno. La Turchia è al momento un mercato off-limits per il canale retail.