La famiglia Moratti esce dal business del petrolio dopo una storia familiare durata oltre sessanta anni. La fondazione della società Saras risale al 1962 per volontà del padre Angelo, che decise di mettere a frutto l’esperienza nel settore. Arrivò a raffinare un quarto dei consumi nazionali di petrolio. Il principale impianto si trova oggi a Sarroch, vicino a Cagliari, dove ogni giorno vengono sottoposti a raffinazione 300 mila barili di petrolio. Giustamente, i 1.300 dipendenti si mostrano preoccupati per il loro destino e altri 3 mila sono i dipendenti dell’indotto che vogliono capire meglio cosa potrà accadere da qui in avanti.
Mercato scettico su Saras in mano a Vitol
Ad oggi, i Moratti detengono il controllo di Saras attraverso tre partecipazioni: Massimo Moratti con una quota del 10%, Angel Capital Management al 10% e Stella Holding per un altro 10%. A voler vendere sono stati i figli di Gian Marco, il fratello di Massimo, scomparso nel 2018. L’ex patron dell’Inter si è mostrato commosso all’atto di cedere il gioiello di famiglia. Ci sono i ricordi e i successi di una vita dietro, per cui lo stato d’animo è comprensibile.
Vitol si è impegnata a versare 1,75 euro per azione. In cambio otterrà il 35% del capitale e fino a un massimo del 40% nel caso in cui Angel Capital Management cederà anche la rimanente partecipazione del 5%. In tutto, l’acquirente staccherà un assegno di circa 580 milioni, che potrà salire fino a un massimo di 666 milioni. E così, l’offerta valorizza Saras meno di 1,66 miliardi, un pelo sopra gli 1,64 miliardi di capitalizzazione ai prezzi di borsa di ieri, quando il titolo si acquistava per 1,72 euro. In pratica, il mercato ha così poca fiducia nel nuovo corso da prezzare le azioni meno di quanto le stia pagando Vitol.
Dall’IPO all’OPA un grande flop
In effetti, dall’IPO nella primavera del 2006 le delusioni sono state superiori alle soddisfazioni per gli azionisti. Pensate che il titolo debuttò a 6 euro, capitalizzando Saras intorno a 5,7 miliardi. Peccato che l’esordio si rivelò subito un flop, con il titolo ad essere crollato dell’11% e i giudici che aprivano un’inchiesta a carico delle banche collocatrici, poi finita nel nulla. Con quell’operazione, i fratelli Moratti vendettero 285 milioni di azioni, incassando complessivamente 1,71 miliardi. Altri 60 milioni di azioni Saras furono cedute sul mercato attraverso un aumento di capitale.
Da quel lontano maggio 2006 il titolo in borsa perde più del 71%. E la consolazione derivante dall’incasso dei dividendi è stata minima: 1,15 euro per azione staccati da allora, pari a un rendimento del 19,2% in quasi diciassette anni, qualcosa come circa l’1% lordo all’anno. Considerate anche che nello stesso arco di tempo l’inflazione italiana si è mangiata oltre il 37% del potere di acquisto. Pertanto, chi avesse investito nell’IPO 1.000 euro, oggi si ritroverebbe un capitale nominale ridotto a meno di 290 euro. E questa somma di denaro varrebbe quanto 210 euro di diciotto anni fa.
Collaborazione cessata con Rosneft
Non v’è alcun dubbio che l’investimento in Saras sia stato a perdere, almeno con riferimento all’IPO. C’è stato anche un pizzico di sfortuna. Nel 2013, la compagnia russa Rosneft entrava nel capitale con una quota del 21%. Tre anni più tardi la collaborazione s’interrompeva a seguito delle sanzioni contro la Russia comminate dall’Unione Europea. Ma se gli azionisti Saras sono rimasti con un pugno di mosche in mano, non lo stesso può dirsi dei Moratti.
Moratti via da Saras con un bel gruzzolo
Dopo avere incassato 1,71 miliardi con l’IPO, si accingono a percepirne altri 666 milioni con la cessione a Vitol. In tutto, quasi 2,4 miliardi. Certo, c’è da dire che con un terzo del capitale nel 2006 erano riusciti ad incassare più del valore di borsa dell’intera società oggi.