Mancano quattro giorni al secondo turno delle elezioni legislative in Francia e il presidente Emmanuel Macron si gioca il tutto per tutto. E’ stato costretto a scendere a patti con la sinistra per cercare di impedire al Rassemblement National di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea Nazionale. Le desistenze saranno 218. Si tratta di un espediente tecnico per creare un fronte anti-lepenista, ritirando i candidati più deboli in favore dell’altro schieramento. Se questo stratagemma funzionasse, la carta che l’Eliseo si giocherebbe è quella di Christine Lagarde.
Dalla BCE a Palazzo Matignon?
Difficile, tuttavia, che stavolta possa dire di no a Macron. Si tratterebbe di salvare la stabilità politica e, di conseguenza, economica e finanziaria della Francia, sua patria e seconda economia dell’Area Euro. Lagarde sarebbe il primo ministro “tecnico” a capo di un governo delle larghe intese o unità nazionale. Quasi certamente non riceverebbe un solo voto dalla destra di Marine Le Pen, mentre da sinistra il sostegno potrebbe arrivare in funzione proprio anti-lepenista. A proposito, la sua nomina verrebbe agevolata dal fatto che i deputati in Francia non sono tenuti a votare la fiducia al governo.
Maggioranza politica inesistente
In pratica, Lagarde guiderebbe un governo dalla maggioranza “aumma aumma”. Solo i centristi lo appoggerebbero apertamente, per il resto si andrebbe avanti a colpi di ipocrisia. Un gioco molto pericoloso per la gauche, che rischia di essere accusata dai propri stessi sostenitori di essersi trasformata nella stampella istituzionale di Macron e di appoggiare le politiche contro cui ha scatenato fino a pochi mesi fa furenti manifestazioni di piazza.
Se Lagarde diventasse il prossimo capo del governo francese, urgerebbe rimpiazzarla come governatore della BCE.
Lagarde ultima carta per Macron
Certo, lo sconvolgimento che ne deriverebbe è la prova provata di quanto grave sia la crisi del macronismo in Francia e con un impatto devastante sulla tenuta delle istituzioni. Il compito di Lagarde non sarebbe affatto facile. Diventerebbe il terzo premier in poco più di un anno e non disporrebbe di numeri certi per far approvare le leggi. Se dovesse fallire l’obiettivo affidatole, rischierebbe di dover lasciare già dopo un anno, quando la Costituzione consentirebbe al presidente di sciogliere nuovamente l’Assemblea Nazionale. A quel punto, però, s’imporrebbero le dimissioni dello stesso Macron.