“L’Unione Europea dovrebbe prendere in considerazione di rendere permanente il Recovery Fund, in modo che possa essere usato in circostanze simili”. Sono parole di Christine Lagarde, rilasciate al quotidiano francese Le Monde, musica per le orecchie di Emmanuel Macron, che del fondo anti-crisi è stato l’ideatore più convinto. Il governatore della BCE smentisce sé stessa, se è vero che rispondendo alla domanda di un europarlamentare olandese aveva sostenuto la temporaneità dello strumento messo in campo dai leader europei. Ma la seconda ondata dei contagi Covid, particolarmente forte nella sua Francia, potrebbe aver contribuito a farle maturare un’idea diversa.
Una Lagarde col turbo quella di questi ultimi tempi. E dire che quell’infausto 12 marzo scorso provocò crolli record delle borse europee, quando in conferenza stampa dichiarò che non fosse compito della BCE “chiudere gli spread”. Quell’occasione l’avrà dissuasa dal proseguire con una linea di comunicazione rigida, ma forse nei mesi successivi ad essere prevalsi saranno stati i timori sulla Francia. La seconda economia dell’Eurozona si contrarrà più di Italia e Germania e a fine anno raggiungerà un rapporto debito/pil di circa il 125%, forse più. Prima della crisi del 2008, si attestava ancora sotto il 55%, dopo ha gradualmente puntato al 100%. Cosa accadrà dopo questa emergenza sanitaria?
La vera incognita di questa fase non è l’Italia, quanto per l’appunto la Francia. Con l’elezione di Emmanuel Macron alla presidenza si era sperato che ponesse fine a decenni di mancate riforme e a un lungo periodo di bassa crescita e alta disoccupazione. Ma tra resistenze corporative più forti del previsto e la crisi scatenata dal Covid, Macron lascerà i conti pubblici e la stessa economia transalpina in condizioni peggiori di quelle ereditate alla fine del suo (primo) mandato.
Germania costretta a tollerare Madame Lagarde
Parigi non ha alcun problema di credibilità sui mercati finanziari, come testimoniano i rendimenti bassissimi dei suoi Oat. A differenza di Roma, può fare affidamento su una politica forte e capace di gestire i dossier europei, anzi di intestarseli anche prima e meglio dei tedeschi. Ma sa anche che non potrà tirare la corda a lungo, che prima o poi gli investitori inizieranno a chiedersi se il debito francese sia sostenibile senza riforme e con una crescita economica bassa. Macron punta sin dal suo insediamento a “francesizzare” l’Europa, scommettendo sul bilancio comune, un modo come un altro per ottenere la graduale condivisione dei debiti sovrani, tale da sfruttare il buon nome di Berlino per continuare a spuntare costi infimi sulle emissioni domestiche. Il Covid gli sembra l’occasione storica per affievolire le resistenze di tedeschi e alleati del Nord Europa.
Ma i “no” degli stati “frugali” appaiono ben più duri da rimuovere del previsto. Ed ecco che la palla torna in capo alla BCE, che pur tra crescenti lacerazioni interne si accinge a varare nuovi stimoli monetari. Il PEPP verrà probabilmente potenziato e i tassi “overnight” tagliati ulteriormente entro dicembre. Tutto, pur di consentire ai governi di indebitarsi senza preoccuparsi dei costi. Ma o questi stimoli diventano permanenti o prima o poi il conto da pagare arriverà anche per Parigi. I tedeschi sono impensieriti da entrambi gli scenari, ovvero che la BCE si trasformi in una “bad bank” per salvare gli stati ultra-indebitati del Sud Europa e che la Francia si unisca all’Italia nella crisi del debito sovrano, finendo per metterli dinnanzi a una scelta: accettare le emissioni di debito in comune per salvare l’euro o ridefinire i confini dell’Eurozona, finanche facendo a meno del partner principale.