La conferenza stampa olandese di giovedì scorso di Christine Lagarde dopo la riunione del board BCE è stata un ennesimo disastro della comunicazione. Il governatore ha spiegato il contenuto del comunicato, vale a dire che ci sarà il rialzo dei tassi a luglio dello 0,25% e possibilmente dello 0,50% a settembre. Fine degli acquisti di asset con il “quantitative easing” dopo il 30 giugno e niente scudo anti-spread. Semmai, l’istituto userà la flessibilità del PEPP in fase di riacquisto dei bond per contrastare la frammentazione dei mercati nell’Eurozona.
Il ritorno alla crisi dei debiti sovrani
I fan del premier Mario Draghi hanno reagito sui giornali mettendo le mani avanti: la colpa dell’allarme spread sarebbe stata della BCE, rea di voler aumentare i tassi nel bel mezzo di una guerra, e di Vladimir Putin, che ha fatto esplodere i prezzi di petrolio e gas. Per loro alzare il costo del denaro allo 0,25% con un’inflazione sopra l’8% sarebbe evidentemente un’eresia. Dopodiché, fingono di ignorare che la corsa dell’inflazione partì già nel 2021 e con la guerra russo-ucraina è stata tutt’al più accelerata.
Tutto, pur di nascondere una triste realtà: l’allarme spread scatta indipendentemente da chi si trovi a Palazzo Chigi. Nel 2011, quando il Sud Europa fu travolto dalla crisi dei debiti sovrani, la colpa fu fatta ricadere in Italia su Silvio Berlusconi e in Spagna su Luis Zapatero. Senonché, mesi dopo l’euro rischiò di sparire con gli spread alle stelle, ma al governo di Roma c’era Mario Monti e a quello di Madrid Mariano Rajoy. Solo la malafede politica può portarci a credere che la responsabilità dello spread fu allora dei singoli e non dettata dalle condizioni macro e strutturali dell’Area Euro.
Altra cosa il 2019. Effettivamente, quella volta lo spread s’impennò a causa delle tensioni politiche tra Italia e Commissione europea sul deficit. Il governo “giallo-verde” retto da Movimento 5 Stelle e Lega spaventò i mercati per il timore che ci facessero uscire dall’euro. Sappiamo che i due partiti furono addomesticati nel giro di poche settimane. Ma l’allarme spread con Draghi come ce lo spieghiamo? E’ l’economia, bellezza. L’Italia ha oggi un debito pubblico al 150% del PIL e un’economia di dimensioni reali inferiori a quelle del lontano 2007. A tutti gli effetti, siamo messi peggio del 2011.
Dati macro peggiorati dal 2011
Dopo che Berlusconi uscì come un ladro da Palazzo Chigi tra le urla gaudenti dei manifestanti, la BCE di Draghi azzerò i tassi d’interesse e inondò il mercato di liquidità con le aste a favore delle banche prima e con il “quantitative easing” dopo. Il costo d’indebitamento divenne per l’Italia basso come mai prima. Ciononostante, i conti pubblici migliorarono poco e di riforme economiche neppure l’ombra, salvo la legge Fornero di fine 2011. I governi sono cambiati con una frequenza bulimica all’italiana, fino ad arrivare a Draghi. Da governatore BCE aveva salvato il debito pubblico italiano, mentre da premier sta subendo il rovesciamento delle sorti a causa della necessaria stretta sui tassi.
Neanche Draghi basta ai mercati
Qualcuno dirà che se non ci fosse Draghi premier, l’allarme spread oggi sarebbe ancora più grave. Probabile, ma le analisi non si fanno con i se. E, soprattutto, ciò non toglie che neppure Draghi sia riuscito a spegnere l’incendio. Il motivo è semplice: solo chi ha l’estintore può farlo. E i governi possono offrire risposte solo sul piano fiscale nel medio-lungo periodo.
In quasi un anno e mezzo di governo, l’ex banchiere centrale non si è rivelato all’altezza della sfida sulle riforme. Sta venendo meno la narrazione fiabesca sulle qualità taumaturgiche del PNRR, che ricordiamo essere perlopiù denaro preso in prestito, cioè da restituire. Colpa dei partiti? Molto probabile. Ma sinora Draghi è riuscito a vincere le loro resistenze solo sulle concessioni balneari e la riforma del catasto. Come se l’economia italiana dipendesse da queste due leggine. L’allarme spread sta facendo cadere il velo dell’ipocrisia a una stampa partigiana, che da oltre un decennio usa lo spauracchio dei mercati contro alcuni e a favore di altri. Ma i mercati hanno il pregio di essere super partes: non guardano in faccia nessuno, se non i numeri. E quelli sì che sono drammatici.