Per capire l’economia mondiale oggi non possiamo non menzionare cosa accadde meno di un quindicennio fa. L’epicentro della crisi dei mutui fu l’America e di lì si scatenò un crac immobiliare che travolse nel giro di poche settimane tutto il pianeta attraverso il collasso del sistema bancario. Oggi, gli USA temono di tornare a quel periodo per effetto di un rialzo dei tassi tanto necessario quanto rischioso. Prima di addentrarci nei numeri, dobbiamo capire un fatto: la crisi finanziaria mondiale fu superata alimentando ancora di più le cause che la avevano generata, vale a dire il denaro facile.
I dati su una possibile crisi dei mutui
Prima o poi, però, i conti con la realtà vanno fatti. Ad aprile, secondo i dati di U.S. Census, il numero delle case vendute è crollato del 16,6% su marzo e del 26,9% su base annua. Il dato destagionalizzato è sceso a 591.000, il più basso da aprile 2020, mese di lockdown anti-Covid. Il crollo è stato concentrato nella fascia di prezzo fino a 400.000 dollari. In sostanza, sotto i 200.000 dollari non si è venduto nulla, tra 200.000 e 300.000 dollari -71%. Sopra 400.000 dollari, invece, vendite invariate su base annua. In altre parole, a non avere comprato è stata la classe media americana.
Per capire cosa stia accadendo, dovremmo guardare a un altro dato: in un anno, i prezzi delle case in media sono aumentati di quasi il 20% a 450.600 dollari. Nello stesso frangente, il mutuo a tasso fisso a 30 anni è salito da 3,06% a 4,98% (5,41% a fine maggio). In altre parole, mediamente una famiglia americana spenderebbe oltre 650 dollari in più di rata mensile per acquistare casa, qualcosa come oltre 7.850 dollari all’anno.
Rischio di crac immobiliare
Tirando le somme, con costi in così forte crescita una nuova crisi dei mutui non è da escludere. Ed essa scatenerebbe il crollo del mercato immobiliare americano. Di riflesso, le banche accuserebbero un duro colpo. Sarà un caso, ma la Federal Reserve ha iniziato ad esternare circa la possibilità che si prenda una pausa dopo l’estate sul rialzo dei tassi e, addirittura, che possa tornare a tagliare i tassi nel 2023. A cosa servirebbero queste esternazioni? Probabilmente a frenare l’aumento del costo del denaro sul mercato, il quale si è portato assai più avanti dell’istituto nello scontare la stretta monetaria.
In pratica, sta succedendo che prima ancora che i tassi FED lievitino, il mercato si stia comportando come fossero già saliti verso il 3%. Se questo rende la stretta più efficace, d’altra parte rischia di mandare l’economia americana in recessione ben prima che giunga al termine. Ed ecco che l’istituto cerca di raffreddare le aspettative, così da contenere tra l’altro i rincari dei mutui e contenere l’impatto negativo sul mercato immobiliare. O rischia di venire giù tutto come il 2008.