C’era una volta il sindacato contrario al salario minimo. Non perché si battesse per il miglioramento delle condizioni retributive dei lavoratori. Al contrario, proprio perché aveva consapevolezza della propria forza negoziale, non accettava di essere silenziato dal legislatore con quelle che sarebbero state “mance” governative. Il salario minimo legale era considerata roba di “destra”, una specie di trappola tesa ai rappresentanti dei lavoratori per depotenziarne l’operato. Erano altri tempi. Poi, è arrivato Maurizio Landini, segretario della principale organizzazione sindacale italiana: CGIL.
Salario minimo, ma contratti firmati a 5 euro l’ora
I sindacati che vanno a rimorchio di una parte politica sono il segno dei tempi. Ma Landini va oltre. Invita alla “rivolta sociale”, parole che dovrebbero far rabbrividire, visti i trascorsi italiani negli anni Settanta. Diffonde notizie palesemente contraddette dai dati ufficiali, ossia che l’occupazione crescerebbe solamente per via del lavoro precario e che le ore lavorate stiano diminuendo. E’ vero il contrario, ma Landini è forse un po’ pigro per prendersi la briga di leggere i numeri dell’Istat.
Il peggio di sé lo ha dato di recente, quando alla trasmissione su Rai Tre “Restart” ha ribadito il suo sostegno al salario minimo. A quel punto, la conduttrice gli ha chiesto perché abbia firmato contratti a 5 euro l’ora come nel caso dei vigilantes. Landini ha confermato di averlo fatto, ma annunciando che farà causa in tribunale alle controparti, perché quei contratti sarebbero “incostituzionali”. In pratica, farà causa a sé stesso, visto che a firmarli è stata proprio la CGIL.
Tornano le proteste dopo anni di immobilismo
Fossimo ingenui, parleremmo di un “caso”. Ma queste contraddizioni del sindacato italiano non sono affatto casuali. Da almeno 30 anni le principali sigle non sembrano capaci di rappresentare le istanze degli iscritti.
Eppure si sciopera solamente ora che al governo è tornato il centro-destra. Non ricordiamo i sindacati avere protestato contro la legge Fornero o il Jobs Act. E lo diciamo indipendentemente dal giudizio che si può avere di queste due misure. Il salario minimo invocato da Landini e colleghi è ipocrisia allo stato puro. Ci troviamo dinnanzi a organizzazioni consapevoli di non essere capaci di difendere i diritti dei lavoratori in fase negoziale e pretendono che lo stato lo faccia al posto loro. Se così, qual è il senso della loro esistenza?
Landini e sindacati “distratti”
La stagnazione salariale di questi decenni riflette non soltanto l’incapacità di portare a casa risultati, ma anche la fuga delle imprese dal mercato italiano. Esse lamentano tra l’altro l’impossibilità nel nostro Paese di premiare i lavoratori meritevoli e di mandare a casa i più lavativi. I primi sono attaccati e i secondi difesi dai sindacati, in virtù di una mentalità falsamente egualitaria. Landini ci viene a parlare della necessità di “non voltarsi dall’altra parte” dopo almeno un trentennio in cui a farlo sono stati i sindacati. Prova ne è che abbiamo tra gli stipendi più bassi d’Europa.