Con un annuncio su Twitter, nel fine settimana l’ormai ex ministro dell’Economia, Martin Guzman, annunciava le dimissioni dalla carica. Nel suo messaggio, ha auspicato che il governo lo sostituisse con una figura capace di ottenere un ampio accordo politico all’interno del governo per potere implementare le misure necessarie a contrastare la crisi dell’Argentina. Finisce così l’avventura di Guzman come ministro dell’Economia, iniziata il 10 dicembre 2019 con la nascita della presidenza di Alberto Fernandez. Le dimissioni sono arrivate mentre la vice-presidente Cristina Fernandez de Kirchner celebrava Juan Peron a un evento pubblico, attaccando tra l’altro le politiche del ministro.
I successi di Guzman e gli attacchi da sinistra
In due anni e mezzo, Guzman ha potuto vantare alcuni successi indubbi. Il 39-enne vicino al Premio Nobel Joseph Stiglitz ha ristrutturato il debito estero per oltre una sessantina di miliardi di dollari nell’estate del 2020. Successivamente, era riuscito a trovare un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per rinegoziare i 44 miliardi di prestiti ricevuti tra il 2018 e il 2019. E stava per recarsi in Europa per rinegoziare altri 2 miliardi di dollari con i creditori del cosiddetto Club di Parigi.
Tuttavia, l’ala che fa riferimento alla Kirchner lo accusava di avere accettato condizioni capestro dall’FMI. Inoltre, gli rimproverava una politica fiscale troppo restrittiva, puntando ad ottenere maggiore spesa pubblica. Purtroppo, la crisi argentina non fa che aggravarsi, tanto che i peronisti dopo decenni hanno perso la maggioranza al Congresso alle elezioni dell’autunno scorso. L’inflazione galoppa al 60%, il cambio sprofonda e sul mercato nero i pesos valgono quasi la metà contro il dollaro del tasso ufficiale.
La crisi argentina si aggrava
Nelle ultime settimane, poi, il paese è sconvolto dallo sciopero dei camionisti contro la carenza di carburante.
La crisi argentina rischia di aggravarsi con un mix di ulteriore spesa pubblica e stamperie della banca centrale, il quale porterebbe all’esplosione dell’inflazione ben sopra i livelli attuali. Non a caso, nelle ultime settimane i bond in valute estere sono implosi a una ventina di centesimi. Praticamente, il mercato sconta un ennesimo default. Impossibile in queste condizioni tornare ad accedere ai capitali stranieri. E l’unico modo per coprire i buchi di bilancio, in alternativa a una sana politica fiscale, non può che consistere nella monetizzazione dei deficit. Ergo, inflazione, inflazione e ancora default.