L’Argentina torna ai vecchi mali del peronismo per combattere la crisi dell’economia

Crisi argentina senza fine. Il presidente peronista Alberto Fernandez approva misure demenziali contro la crisi economica e spegne ogni speranza di normalità per un paese che da decenni non vede la luce in fondo al tunnel.
5 anni fa
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Se c’è un’economia apparentemente senza speranze, questa è l’Argentina. Da quando l’allora presidente Juan Domingo Peron fu destituito con un colpo di stato militare nel 1955, per la quasi totalità del tempo il paese sudamericano è stato assistito dal Fondo Monetario Internazionale e, salvo un periodo di crescita del benessere negli anni Novanta, non è mai riuscito a vedere la luce in fondo al tunnel. La presidenza del “peronista” Alberto Fernandez ha da poco debuttato con un tuffo nei mali storici che affliggono l’Argentina, vale a dire la ricerca ossessiva di soluzioni facili e scriteriate, che prendono proprio il nome di politiche peroniste.

E così, i due rami del Congresso hanno appena approvato un pacchetto di misure volto a combattere la crisi dell’economia, ma che è fin troppo facile prevedere faccia l’ennesimo buco nell’acqua, aggravando la situazione negli anni prossimi. Vengono tassati gli acquisti di valuta estera, le vendite di auto e le esportazioni agricole. Secondo il presidente, questi aumenti graveranno solo sul ceto medio e sui ricchi. Obiettivo: disincentivare il ricorso ai dollari da parte delle famiglie e aumentare l’offerta di beni primari sul mercato domestico, facendo cassa anche sulle vendite di auto, prodotto di lusso per i peronisti, visti i tassi di povertà al 40%.

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Ma i numeri appaiono impietosi e depongono tutti a sfavore di ricette rivelatesi obsolete e controproducenti. Il debito estero dell’Argentina ammonta al 90% del pil, qualcosa come oltre 335 miliardi di dollari. Il governo non riesce a rifinanziarsi sui mercati in pesos, perché i suoi stessi cittadini non mostrano la minima fiducia verso la valuta locale, che dal default del 2001 ha perso oltre il 99%. Pertanto, è costretto a indebitarsi in dollari principalmente, ma anche in euro. E man mano che il cambio continua a deprezzarsi contro queste valute forti, il peso dell’indebitamento cresce.

Nel settore privato non va meglio. Chi può, presta solo in valuta straniera, altrimenti dovrebbe imporre tassi d’interesse stellari per scontare l’alta inflazione, ormai stabilmente sopra il 50%, nonostante la presidenza del liberale Mauricio Macri negli anni passati puntasse proprio a combattere l’instabilità dei prezzi.

Il loop stanco dell’Argentina

Il nuovo governo ha ufficializzato l’intenzione di ristrutturare il debito pubblico, apparentemente solo rinviando i pagamenti e non tagliandoli di entità. Nel frattempo, ha già saltato scadenze per 9 miliardi di dollari, tanto che le agenzie di rating ne hanno preso atto. Per S&P, Buenos Aires versa in uno stato di “Selective Default”, per Moody’s vale “Caa2” e per Fitch “CC”, pur in upgrade dal precedente “Restricted Default”. Il problema dell’Argentina è che i suoi politici non imparano mai dagli errori, ripetendoli volutamente senza fine, pur di non perdere la popolarità a favore degli avversari. Macri aveva fatto sperare, ma è bastato qualche passo falso per perdere la fiducia dei mercati.

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All’economia servirebbe una politica di liberalizzazioni dei servizi, delle tariffe, del cambio, una minore oppressione burocratica e fiscale gravante sul settore privato, la piena apertura ai mercati finanziari e una politica fiscale solida, nonché una monetaria che una volta per tutte smettesse di finanziare i deficit dei governi e credibilmente difendesse la stabilità dei prezzi. Nulla di tutto questo sembra più possibile che avvenga, se non per un breve periodo. I peronisti rinvieranno i pagamenti, guadagnando tempo e allentando la pressione sui conti pubblici. Ma non risaneranno un bel nulla, continueranno a spendere oltre le possibilità e a pretendere che la banca centrale copra i “buchi” di bilancio, tenendo alta l’inflazione e sussidiando i consumatori con tariffe sottocosto per i servizi essenziali, finendo da un lato per alimentare il debito pubblico e dall’altro per rendere inefficiente la produzione delle utilities.

E’ tutto un film già visto. Lasceranno l’Argentina nel pieno di un disastro in eredità a qualche governo di matrice liberale e dalle buone intenzioni, ma che non farà in tempo per offrire ai cittadini migliori condizioni di vita, venendo travolto alle successive elezioni e ridando ai peronisti le chiavi del paese per rimetterlo in sesto dai loro stessi disastri. E’ un loop che va avanti da decenni e che ha stancato tutti, compresi gli organismi internazionali. Eppure, non si capisce nemmeno più per quale ragione, ci sarà sempre l’FMI pronto a sostenere Buenos Aires per l’ennesima volta, garantendo ai politici locali infinita irresponsabilità e senza nemmeno mai assumersene le conseguenze.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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