L’Armenia ha collocato nei giorni scorsi un nuovo Eurobond a 10 anni in dollari con scadenza 2031 e cedola 3,60% (ISIN: XS2010028939) per un importo di 750 milioni. Grazie all’elevata domanda (gli ordini sono stati pari a 2,5 miliardi), il paese asiatico ha potuto rifinanziarsi a costi, tutto sommato, contenuti. Il prezzo di emissione è stato, infatti, di 97,738 centesimi, determinando un rendimento lordo annuo del 3,875%, circa 280 punti base sopra il Treasury di pari durata. Tenete conto che le banche che si sono occupate dell’operazione (Citigroup, HSBC e JP Morgan) avevano fissato il rendimento in area 4,375-4,5% nella loro “guidance” iniziale, successivamente rivedendolo al ribasso al 4,125-4,25%.
Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan colpisce poco i bond e punisce più Erevan
Dunque, il collocamento è stato in sé un successo, anche grazie alla caccia alla “yield” sui mercati internazionali in questi mesi. Il Tesoro di Erevan si è visto costretto a compiere questo passo per fronteggiare i costi della pandemia, ma anche i danni provocati dalla breve guerra con l’Azerbaijan per un’area contesa. L’episodio ha lasciato cicatrici profonde sul piano della credibilità del paese tra gli investitori. In molti pensano, infatti, che l’Armenia sia uno stato instabile e destinato a perenni tensioni geopolitiche. Questo timore si è tradotto in un aumento dei rendimenti sovrani durante le tensioni, pur in misura non drammatica.
Rischio sovrano armeno elevato
Il giudizio delle agenzie internazionali è severo: rating B+ per Fitch, Ba3 per Moody’s. Trattasi, quindi, di titoli “spazzatura”, cioè ad alto rischio sovrano. In effetti, nel corso del 2020, anche a causa del Covid, il debito pubblico armeno è esploso al 66,5% del PIL. Una percentuale in sé non così elevata, ma considerate che per l’80% è denominato in valuta straniera, qualcosa come circa 6 miliardi di dollari, più del doppio delle riserve valutarie, stabili a 2,6 miliardi. E il dram, la valuta locale, ha perso l’8% contro il dollaro e il 16% contro l’euro nell’ultimo anno.
Non depone a favore di prospettive favorevoli alla valuta locale il deficit sia commerciale che delle partite correnti, anche se per il momento il livello delle riserve appare congruo, essendo teoricamente sufficienti a coprire circa 6 mesi di importazioni. Per il resto, è pur vero che i tassi d’interesse al 5,25% risultano superiori all’ultimo dato sull’inflazione al 3,7%. E non è scontato ai tempi di oggi, sebbene parliamo di un’economia emergente. Di per sé, tassi reali positivi dovrebbero attirare i capitali esteri, ceteris paribus.
Negli ultimi mesi, dopo la tregua raggiunta con il governo azero, i bond armeni sono risaliti sul mercato secondario. Il titolo in dollari con scadenza 26 marzo 2025 e cedola 7,15% (ISIN: XS1207654853) guadagna il 7,5% da ottobre, salendo a una quotazione di circa 115,60, offrendo ieri un rendimento lordo di circa il 2,95%. E il bond con scadenza 26 settembre 2029 e cedola 3,95% (ISIN: XS2010043904), sempre denominato in dollari, guadagna quasi l’8,5% dai minimi toccati a inizio novembre, risalendo sopra la pari e rendendo poco meno del 3,85%. Livelli di rendimento non così esaltanti, specie considerato il rischio di cambio per i prossimi anni, ma soprattutto quello sovrano.
Mercati di frontiera nel mirino dei cacciatori di rendimento