I conti pubblici di tutti i paesi al mondo stanno sballando. La stessa Germania aveva stimato di chiudere il suo bilancio federale ancora in lieve surplus, ma a causa dell’emergenza Coronavirus sarà costretta a registrare il deficit più elevato da decenni. In Italia, il rapporto debito/pil salirà verosimilmente sopra il 160%, mentre in Francia e Spagna dovrebbe attestarsi a non meno del 120-125%, percentuali inferiori a quelle attese negli USA. Ovunque, le banche centrali sono intervenute per spegnere l’incendio sui mercati finanziari, iniettando liquidità in misura così massiccia da non avere precedenti nella storia.
L’esito di questo allentamento monetario record consiste nel crollo dei rendimenti sovrani ai minimi storici lungo la curva, un paradosso, considerato che siamo nel pieno di una gravissima crisi fiscale in tutto il mondo avanzato, e non solo. In un certo senso, sta ripetendosi lo scenario degli anni Settanta, quando l’esplosione delle quotazioni petrolifere provocò un decennio di stagflazione in Nord America ed Europa, al quale le principali banche centrali reagirono con politiche monetarie espansive, tali per cui i tassi d’interesse scesero sotto i livelli d’inflazione. Fu il periodo della cosiddetta “repressione finanziaria”, fenomeno che ha fatto la sua ricomparsa dopo la crisi finanziaria globale del 2008, culminando in questa fase di nuova e potente recessione.
La repressione finanziaria consiste in rendimenti reali negativi per gli investitori, ai quali non conviene neppure impiegare i capitali in titoli del debito, a meno di non assumersi rischi maggiori. In generale, essa premia i debitori e punisce i creditori, per cui redistribuisce risorse a favore dei primi, ma finisce con il disincentivare il risparmio. Questo non è che il rinvio dei consumi al futuro, quando il valore attuale del denaro si attende che sia almeno non inferiore.
La repressione finanziaria spinge già a guardare ai paesi emergenti, fate attenzione
Il rischio default globale
Senza risparmio, però, non ci sarebbero in futuro risorse da impiegare per finanziare i debiti, sia dei privati che degli stati. Negli anni Settanta, l’Occidente poté continuare a investire grazie agli afflussi dei capitali dal Medio Oriente, cioè dalle economie che avevano beneficiato dal boom dei prezzi petroliferi, anzi che lo avevano appositamente provocato restringendo l’offerta. Oggi, l’unica grande economia capace di generare risparmio sarebbe la Cina, che non a caso risulta già primo creditore dell’America, seguita dal Giappone. Finora, la stessa Eurozona è stata un’economia generatrice di risparmi, come segnala il suo surplus commerciale costante.
Mantenere tassi reali negativi a lungo, però, rischia di “americanizzare” l’unione monetaria, dove i risparmi interni risulterebbero insufficienti a finanziare i debiti. Ma con i debiti in tendenziale forte crescita un po’ in tutto il mondo e questo clima di repressione finanziaria diffuso, chi resterebbe a risparmiare? Certo, per un periodo non breve ci penserebbero le banche centrali a comprare debito, di fatto monetizzandolo. Questo sarà possibile fino a quando la stabilità dei prezzi non verrà minacciata. Una volta che l’inflazione rialzerà la testa, questi acquisti dovranno necessariamente rientrare e i tassi saliranno. Negli anni Ottanta, accadde esattamente questo, quando la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra restrinsero le rispettive politiche monetarie per combattere l’inflazione. Alcuni stati emergenti andarono a gambe per aria, a partire dal Messico nel 1982.
A differenza di allora, sarebbero in tanti e tra le stesse economie mature a rischiare di capitolare.
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