L’assalto ai risparmi per salvare gli stati, così il debito pubblico non sarà sostenibile

Banche centrali attive per tenere i debiti degli stati sotto controllo, ma alla lunga la loro sostenibilità verrà meno. L'austerità fiscale sarebbe solo rinviata.
4 anni fa
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Banche a rischio perdite
Banche a rischio perdite © Licenza Creative Commons

I conti pubblici di tutti i paesi al mondo stanno sballando. La stessa Germania aveva stimato di chiudere il suo bilancio federale ancora in lieve surplus, ma a causa dell’emergenza Coronavirus sarà costretta a registrare il deficit più elevato da decenni. In Italia, il rapporto debito/pil salirà verosimilmente sopra il 160%, mentre in Francia e Spagna dovrebbe attestarsi a non meno del 120-125%, percentuali inferiori a quelle attese negli USA. Ovunque, le banche centrali sono intervenute per spegnere l’incendio sui mercati finanziari, iniettando liquidità in misura così massiccia da non avere precedenti nella storia.

La sola Federal Reserve ha pompato qualcosa come 3.000 miliardi di dollari in poche settimane, il 15% del pil americano.

L’esito di questo allentamento monetario record consiste nel crollo dei rendimenti sovrani ai minimi storici lungo la curva, un paradosso, considerato che siamo nel pieno di una gravissima crisi fiscale in tutto il mondo avanzato, e non solo. In un certo senso, sta ripetendosi lo scenario degli anni Settanta, quando l’esplosione delle quotazioni petrolifere provocò un decennio di stagflazione in Nord America ed Europa, al quale le principali banche centrali reagirono con politiche monetarie espansive, tali per cui i tassi d’interesse scesero sotto i livelli d’inflazione. Fu il periodo della cosiddetta “repressione finanziaria”, fenomeno che ha fatto la sua ricomparsa dopo la crisi finanziaria globale del 2008, culminando in questa fase di nuova e potente recessione.

La repressione finanziaria consiste in rendimenti reali negativi per gli investitori, ai quali non conviene neppure impiegare i capitali in titoli del debito, a meno di non assumersi rischi maggiori. In generale, essa premia i debitori e punisce i creditori, per cui redistribuisce risorse a favore dei primi, ma finisce con il disincentivare il risparmio. Questo non è che il rinvio dei consumi al futuro, quando il valore attuale del denaro si attende che sia almeno non inferiore.

Poiché risparmiare comporta un sacrificio, in pochi accantonano risorse per ritrovarsi in futuro con una capacità di spesa più bassa, cosa che accade quando i tassi di remunerazione del risparmio sono inferiori a quelli d’inflazione.

La repressione finanziaria spinge già a guardare ai paesi emergenti, fate attenzione

Il rischio default globale

Senza risparmio, però, non ci sarebbero in futuro risorse da impiegare per finanziare i debiti, sia dei privati che degli stati. Negli anni Settanta, l’Occidente poté continuare a investire grazie agli afflussi dei capitali dal Medio Oriente, cioè dalle economie che avevano beneficiato dal boom dei prezzi petroliferi, anzi che lo avevano appositamente provocato restringendo l’offerta. Oggi, l’unica grande economia capace di generare risparmio sarebbe la Cina, che non a caso risulta già primo creditore dell’America, seguita dal Giappone. Finora, la stessa Eurozona è stata un’economia generatrice di risparmi, come segnala il suo surplus commerciale costante.

Mantenere tassi reali negativi a lungo, però, rischia di “americanizzare” l’unione monetaria, dove i risparmi interni risulterebbero insufficienti a finanziare i debiti. Ma con i debiti in tendenziale forte crescita un po’ in tutto il mondo e questo clima di repressione finanziaria diffuso, chi resterebbe a risparmiare? Certo, per un periodo non breve ci penserebbero le banche centrali a comprare debito, di fatto monetizzandolo. Questo sarà possibile fino a quando la stabilità dei prezzi non verrà minacciata. Una volta che l’inflazione rialzerà la testa, questi acquisti dovranno necessariamente rientrare e i tassi saliranno. Negli anni Ottanta, accadde esattamente questo, quando la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra restrinsero le rispettive politiche monetarie per combattere l’inflazione. Alcuni stati emergenti andarono a gambe per aria, a partire dal Messico nel 1982.

A differenza di allora, sarebbero in tanti e tra le stesse economie mature a rischiare di capitolare.

Il debito pubblico italiano, ad esempio, si tiene a galla solo per i rendimenti artificiosamente tenuti bassi dalla BCE. Sinora, l’unico aspetto rassicurante riguarda l’elevato risparmio domestico accumulato, quello che queste politiche ultra-espansive minacciano, incentivando i consumi e il ricorso all’indebitamento.

Investire in Bund, la folle repressione finanziaria spiegata con la crisi dell’euro

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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