La nuova amministrazione americana di Joe Biden deve ancora formalmente nascere, il tempo che le nomine del neo-presidente vengano approvate dal Senato. E le audizioni sono già iniziate per Janet Yellen, ex governatore della Federal Reserve e prossima segretario del Tesoro. Interrogata dai membri della Commissione Finanze, ha negato che il debito pubblico negli States sia un problema, pur essendo salito a 27 mila miliardi di dollari e tendendo a 29 mila miliardi con il nuovo piano da 1.900 miliardi del nuovo governo a sostegno dell’economia, chiaramente tutto in deficit.
Ad ogni modo, il clou del discorso dell’economista vi è stato quando ha definito le “criptovalute” un mondo a cui guardare con forte preoccupazione, in quanto si presterebbero ad essere utilizzate per finanziare operazioni di terrorismo e per il riciclaggio di denaro. Non a caso, dopo l’audizione le quotazioni del Bitcoin sono scese fin sotto i 33 mila dollari, ai minimi dall’11 gennaio scorso. La capitalizzazione, che l’8 gennaio aveva toccato un apice di circa 770 miliardi di dollari, si è così avvicinata ai 600 miliardi. Un bel tonfo in pochi giorni, sebbene da inizio anno il bilancio rimanga positivo e a doppia cifra.
La Yellen che spara a zero contro Bitcoin e altre “criptovalute” varie al suo debutto come futuro segretario al Tesoro non ce lo saremmo aspettati, date le ben più gravi urgenze dell’America odierna, stretta tra disoccupazione ancora quasi doppia rispetto ai livelli pre-Covid e una ripresa economica tutta da accertare. E forse, proprio per questo ha preferito spostare l’attenzione su un tema apparentemente secondario per l’opinione pubblica, un facile obiettivo per quanti vedano nelle monete digitali una pura e semplice fonte di speculazione, oltre che di affari loschi.
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Bitcoin minaccia i piani dei governi
Ma ci sarebbe dietro una verità più ampia del nemico comune da combattere per unire moralmente la politica americana contro un obiettivo, tutto sommato, abbastanza debole. Il fatto è che Bitcoin, in particolare, viene guardato con circospezione dalle istituzioni politiche e finanziarie, in quanto potenziale alternativa agli assets tradizionali e, soprattutto, indice di sfiducia verso il loro operato. Le banche centrali, se solo potessero, eliminerebbero con un clic del mouse tutte le monete digitali, le quali rappresentano una minaccia ormai palese alle monete fiat, quelle da loro emesse e che da anni vengono stampate in quantità industriali per iniettare liquidità sui mercati finanziari e tenere in vita anche forme di business nei fatti morti o morenti.
Ad oggi, la Federal Reserve (lo stesso vale per tutte le altre grandi banche centrali del pianeta) può tenere i tassi azzerati e acquistare una sterminata quantità di bond americani senza doversi curare più di tanto degli effetti collaterali di queste politiche ultra-espansive sull’inflazione. E così facendo, consente ai governi di turno di indebitarsi come se non vi fosse un domani a costi calanti e ai minimi storici, sostanzialmente perseguendo tutti gli obiettivi di politica economica senza doversi confrontare con il classico grattacapo della scelta delle priorità. I mercati ringraziano, perché tutta questa liquidità sostiene i corsi e arricchisce quella percentuale risibile della popolazione in possesso di grossi portafogli di assets, creando nuovi miliardari spesso dal nulla.
Tutti sono consapevoli, però, che azioni e bond sono finiti da tempo in una gigantesca bolla finanziaria, che non può che essere alimentata ulteriormente per evitare che lo scoppio travolga banche, fondi, società, governi e famiglie.
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