Lavorare di meno e guadagnare lo stesso. Sembra questa una delle strade che il governo intende percorrere per sostenere l’occupazione in Italia.
Un progetto tanto caro ai sindacati, ma anche a nazioni quali la Francia e la Germania, alle prese con la crisi occupazionale causata dal coronavirus. Il progetto troverebbe adeguata copertura finanziaria nei fondi SURE dalla Ue, di cui l’Italia disporrà della fetta più grosso, pari a 27,4 miliardi di euro. Soldi che in parte saranno utilizzati per coprire le spese già anticipate dallo Stato per la Cig e i bonus erogati a famiglie e lavoratori.
Lavorare di meno a parità di stipendio
La novità rientra nel più ampio progetto di riforma degli ammortizzatori sociali già allo studio del governo. Se ne parlerà dopo l’estate quando verranno gettate le basi per la legge di bilancio 2021 e in concomitanza con lo sblocco del divieto dei licenziamenti. La preoccupazione è che una volta esaurito l’effetto della legge, le aziende tornino a licenziare scaricando sullo Stato i costi sociali della disoccupazione. Motivo per il quale si sta cercando di ridurre l’orario di lavoro per legge consentendo, grazie a forme di decontribuzione e risparmio fiscale, di mantenere inalterata la busta paga.
Lo smart working
In questo senso una risposta positiva potrebbe darla lo smart working. Il ricorso al lavoro agile sperimentato durante il lockdown e tuttora obbligatorio per la pubblica amministrazione consente risparmi non indifferenti. Lavorare da casa avrebbe quindi il merito di devolvere ciò che i datori risparmiano in busta paga, sotto forma di detassazione e decontribuzione, ma anche di bonus e premi non tassati. Il settore terziario potrebbe quindi essere investito in pieno dalla riforma consentendo, a parità di retri bizone, di lavorare qualche ora in meno alla settimana.
Persi 742.000 posti in un anno al 31 maggio
Il saldo annualizzato, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi, identifica la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro (differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine del mese osservato rispetto al valore analogo alla medesima data dell’anno precedente).
Il saldo, in progressiva flessione già nel corso della seconda metà del 2019, è divenuto negativo a febbraio (-28.000) ed è rapidamente peggiorato a causa della caduta dell’attività produttiva conseguente all’emergenza sanitaria, passando a -279.000 a marzo e raggiungendo, a fine maggio, il valore di -742.000 posizioni di lavoro, rispetto al 31 maggio 2019.
Rimane ancora significativamente positivo, pur continuando a ridursi, il saldo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+237.000) e analogo è l’andamento per l’apprendistato (+31.000). L’impatto del Covid-19 ha fortemente interessato i contratti a termine, accentuandone le tendenze, già in essere, alla flessione. Il saldo dei rapporti a tempo determinato a maggio 2020 è risultato pari a -552.000. Dati tendenziali significativamente negativi si registrano, sempre a fine maggio, pure per gli intermittenti (-92.000), i somministrati (-155.000) e gli stagionali (-210.000).