Lavoratori italiani, sono pochi e sgobbano più dei colleghi tedeschi

Bassa occupazione tende a coincidere con numero elevato di ore trascorse al lavoro? Lo confermano i dati OCSE, dove l'Italia batte numerosi paesi del Centro-Nord Europa, ma a fronte di una percentuale molto più bassa di persone al lavoro.
8 anni fa
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Bassa occupazione e alto numero di ore lavorate

La conferma arriva con gli altri paesi esaminati: in Turchia si trascorre al lavoro 1.832 ore all’anno, ma il tasso di occupazione è il più basso dopo il Sudafrica con il 50,4%. Gli USA si attestano sopra la media con 1.789 ore e a fronte di un tasso di occupazione del del 69,3%, superiore al 67% della media OCSE. In Svizzera, dove lavorano 80,6 persone su 100 della fascia 15-64 anni, si passa al lavoro 1.568 ore all’anno, 150 meno che in Italia.

Lo stesso in Svezia: occupazione al 76,2% e ore lavorate 1.611. In Norvegia, occupazione al 74,3% e ore lavorate 1.408 all’anno, le più basse dopo la Germania. In Olanda, occupazione al 75% e ore lavorate 1.420. In Danimarca, siamo al 74,8% e 1.458.

Cosa ci dicono questi numeri? Più è alta l’occupazione, minore tende ad essere l’orario di lavoro in azienda. Perché? Le ragioni potrebbero essere diverse: le economie con il maggior numero di occupati sono generalmente quelle più tecnologicamente avanzate, dove il lavoro umano tende ad essere sgravato dalle fatiche del passato sia come intensità, che in termini di tempo impiegato. L’Italia, quindi, sarebbe tra quei paesi con basso grado di innovazione tecnologica, in parte per le dimensioni mediamente molto piccole delle sue imprese, dove risulta necessario per un lavoratore trascorrere un monte-ore maggiore all’anno al lavoro.

Un’altra ragione potrebbe essere quella sopra accennata: l’occupazione è più bassa dove la regolamentazione del lavoro, la burocrazia e la tassazione rendono poco conveniente assumere. Si pensi al caso delle piccole aziende italiane, per le quali al quindicesimo dipendente assunto scatta l’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, che gli imprenditori, a torto o a ragione, percepiscono come un elevato rischio per la propria libertà di licenziare. Ebbene, questi disincentivi spingerebbero a concentrare il lavoro su un numero relativamente basso di occupati.

D’altronde, è quanto ci ha insegnato empiricamente la flessibilità del lavoro dalla legge Biagi del 2003 al Jobs Act del 2015: a parità di condizioni macro-economiche, l’occupazione tende a crescere con regole meno rigide per le assunzioni e i licenziamenti. (Leggi anche: Stipendi lavoratori italiani, cattive notizie)

 

 

 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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