La diagnosi del lavoratore a casa in malattia deve essere sempre specificata sul certificato medico o ci sono casi in cui prevale la tutela della privacy? Pensiamo a malattie che possono determinare imbarazzo e disagio come i problemi di natura psicologica. In linea di massima è bene sapere che il datore di lavoro, in caso di visita fiscale Inps, non ha diritto necessariamente a conoscere la diagnosi del medico basta che gli sia notificata la conferma della prognosi. Il principio è stato ribadito da una recente sentenza della Cassazione (del 5 dicembre 2017, depositata il 31 gennaio 2018) anche se, nel caso di specie, i giudici hanno respinto il ricorso del lavoratore a casa in malattia sulla base di altre motivazioni.
Nella questione che qui interessa però le condizioni di salute del paziente sono state riconosciute nell’ambito dei dati sensibili tutelati dalla privacy. In questi contesti è interesse del datore di lavoro sapere se il medico fiscale Inps ha confermato la prognosi che impone al dipendente di stare a casa in malattia ma lo stesso non è tenuto necessariamente a conoscere qual è la diagnosi e quali i trattamenti medici riconosciuti e le eventuali visite mediche specialistiche prescritte.
Come sopra accennato, nel caso oggetto della sentenza, i giudici hanno ritenuto che il pregiudizio in capo al ricorrente non fosse addebitabile all’annotazione trascritta dal medico fiscale nel certificato medico quanto piuttosto alla divulgazione della richiesta di una visita psichiatrica collegiale da parte del Provveditorato al quale il preside della scuola aveva inoltrato il referto medico ricevuto e in cui era riportato appunto che il docente era “in attesa di consulenza psichiatrica”.