Inflessibili i dati Eurostat, riferiti all’anno 2014: i lavoratori italiani sono stati relegati all’ultimo posto della classifica europea relativa alla durata della carriera lavorativa, restando in servizio solamente per 30,7 anni, 15 in meno dei colleghi islandesi, che pur tra i ghiacci, risultano i più stakanovisti d’Europa con una media di 46 anni di attività, seguiti dagli svizzeri, che mediamente lavorerebbero 42 anni a testa. E anche nel confronto con le altre grandi economie europee non ne usciamo bene: i tedeschi restano al lavoro per circa 38 anni, i britannici 38,5, i francesi 34,8.
In media, un lavoratore europeo resta attivo nel corso della sua vita per 35,3 anni, oltre 4,5 in più di un italiano. E dal confronto tra il 2000 e il 2014 (ultimo anno disponibile per il conteggio), emerge che in Italia si è registrato un aumento di 2,2 anni, quasi identico a quello medio della UE (+2,4). (Leggi anche: Dramma occupazione in cifre)
Dramma occupazione femminile, l’Italia ha un grosso problema con le donne
Se analizziamo gli stessi dati, ma per sesso, ci dicono che un lavoratore maschio in Italia resta attivo per 35,2 anni contro una media UE di 37,8, mentre una lavoratrice donna ha una carriera di appena 25,9 anni, nettamente inferiore ai 32,7 della media UE. Con riguardo ai primi, non saremmo più ultimi in classifica, perché la maglia nera spetterebbe ai lavoratori croati e ungheresi con appena 34,2 anni di carriera, mentre con riferimento alle seconde siamo ultimi.
Dunque, le distanze tra Italia e UE si riducono a 2,6 anni nel caso degli uomini, ma si ampliano a ben 6,8 anni nel caso delle donne. In definitiva, abbiamo, anzitutto, una questione femminile da risolvere, come sta emergendo palesemente in queste settimane di polemiche attorno alla campagna del Ministero della Salute sul “Fertility Day”.