Lavoro dopo la pensione, quali contributi si rischia di perdere

Lavoro dopo la pensione, limiti e condizioni Inps: quando l'Inps non riconosce i contributi accumulati e perché.
3 anni fa
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La legge riconosce al lavoratore in pensione la possibilità di dedicarsi ad altre e nuove attività, dopo il ritiro, ma con alcuni limiti. Dal 1° gennaio 2001, infatti, le pensioni di vecchiaia, le pensioni di anzianità e le pensioni/assegni di invalidità, liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente. In sede di compilazione online dell’istanza di pensione, però, il richiedente è tenuto a sottoscrivere l’avvertenza che in caso di attività dopo la cessazione dal servizio, deve darne tempestiva comunicazione.

Pensione e lavoro: quando i redditi sono cumulabili

Dal gennaio 2009 la totale cumulabilità con i redditi da lavoro è stata estesa a tutte le pensioni di anzianità, i trattamenti di prepensionamento e le pensioni di vecchiaia liquidate nel sistema contributivo, a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima e della Gestione Separata.

La trattenuta, nei casi previsti, è effettuata sulla retribuzione a cura del datore di lavoro al quale il lavoratore deve dichiarare la propria qualità di pensionato. Il datore di lavoro deve provvedere al versamento di quanto trattenuto all’ente previdenziale che eroga la pensione. Viene, invece, effettuata dall’ente previdenziale sulla pensione nei casi di:

  • tardiva liquidazione della pensione, operando sugli arretrati;
  • attività lavorativa dipendente svolta dal pensionato all’estero. In tal caso egli è tenuto a comunicare all’ente la data di inizio dell’attività, il numero delle giornate di lavoro e l’importo mensile della retribuzione;
  • possesso, da parte del pensionato, di redditi da lavoro autonomo.

La trattenuta è giornaliera, per reddito da lavoro dipendente o mensile, per reddito da lavoro autonomo. Nel primo caso è pari al 50% della quota di pensione eccedente il trattamento minimo. Nel secondo caso è pari al 30% della quota di pensione eccedente il trattamento minimo e comunque non può essere superiore al 30% del reddito autonomo prodotto.

I redditi da lavoro ricollegabili ad attività svolta senza vincolo di subordinazione devono considerarsi redditi da lavoro autonomo, indipendentemente dalle modalità di dichiarazione a fini fiscali. Il pensionato, che svolge attività lavorativa autonoma all’estero, deve comunicare i redditi entro la scadenza prevista.

Pensione e lavoro: quando non sono cumulabili

Ad oggi esistono dei limiti alla cumulabilità della pensione con i redditi da lavoro. Nello specifico, i redditi di pensione con i redditi da lavoro non sono cumulabili nel caso di pensioni di invalidità e gli assegni di invalidità di importo superiore al trattamento minimo liquidati con meno di 40 anni di contribuzione:

  • in presenza di reddito da lavoro dipendente che superi il trattamento minimo annuo;
  • con decorrenza successiva al 31 dicembre 1994, e in presenza di reddito da lavoro autonomo che superi il trattamento minimo annuo.

Inoltre, lo stesso limite di cumulabilità vale per le pensioni di anzianità liquidate a favore di lavoratori che trasformano il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Al contrario, non sono rilevanti ai fini della cumulabilità della pensione:

  • i redditi derivanti da attività svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani in attività socialmente utili promosse da enti locali ed altre istituzioni pubbliche e private;
  • le indennità percepite per l’esercizio della funzione di giudice di pace, di giudici onorari aggregati e di giudice tributario;
  • le indennità e i gettoni di presenza di cui all’articolo 82, commi 1 e 2, del Testo Unico enti locali percepiti dagli amministratori locali;
    tutte le indennità comunque connesse a cariche pubbliche elettive e, quindi, ad esempio, le indennità per i presidenti e i membri dei consigli regionali, quelle dei parlamentari nazionali ed europei.

Lavoro dopo la pensione, quali contributi si rischia di perdere e perché

Per i pensionati-lavoratori, tuttavia, è opportuno fare un’ulteriore premessa, ovvero quella relativa ai contributi accumulati durante la propria carriera lavorativa che – a seconda della natura del “nuovo” lavoro – si rischiano di perdere.

Quando si parla di lavoro dopo la pensione, infatti, bisogna fare una distinzione tra lavoro:

  • dipendente nel settore privato;
  • autonomo con iscrizione a gestioni speciali Inps;
  • di libero professionista con iscrizione a gestione separata Inps (collaboratore o p. Iva).

Ebbene, in tutti questi casi, a livello previdenziale, è generalmente riconosciuta la pensione supplementare.

La pensione supplementare è una prestazione economica liquidata, a domanda, al lavoratore che può far valere contribuzione accreditata nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti. Questo vuol dire, in pratica, che l’ordinamento riconosce l’erogazione di una pensione (all’età di 67 anni) a prescindere dall’entità del periodo di lavoro svolto. In questo modo, il pensionato statale può aggiungere alla pensione diretta ordinaria una ulteriore prestazione pensionistica, ovvero quella maturata sulla base del lavoro svolto dopo la pensione.

Questa condizione, però, non è riconosciuta in caso di impieghi statali. Pertanto, se si tratta di attività lavorative che, per qualsiasi ragione, comportano l’iscrizione alla Cassa dello Stato, l’Inps non riconosce la pensione supplementare. Questo si traduce nella perdita di eventuali contributi accumulati durante l’impiego post pensionamento. L’ordinamento, infatti, non riconosce dopo due anni di servizio l’erogazione di una quota aggiuntiva di pensione.

La presentazione delle dichiarazioni dei redditi da lavoro

Va ricordato, a tal proposito, che i titolari di pensione di invalidità e di assegno di invalidità assoggettati al regime di incumulabilità devono presentare la dichiarazione attestante i redditi da lavoro autonomo entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione dei redditi ai fini dell’ IRPEF .

In particolare devono presentare la dichiarazione attestante i redditi da lavoro autonomo riferiti all’anno precedente e la dichiarazione “a preventivo” che consenta di effettuare provvisoriamente le trattenute delle quote di pensione non cumulabili con i redditi da lavoro autonomo sulla base della dichiarazione dei redditi che prevedono di conseguire nel corso dell’anno.

I redditi da lavoro autonomo devono essere dichiarati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali e al lordo delle ritenute erariali. Il reddito d’impresa deve essere dichiarato al netto anche delle eventuali perdite deducibili imputabili all’anno di riferimento del reddito.

Pertanto, devono presentare la dichiarazione reddituale a consuntivo anche i pensionati per i quali la situazione reddituale dichiarata a preventivo non abbia avuto variazioni, mentre sono tenuti a presentare la dichiarazione reddituale a preventivo anche i pensionati per i quali la situazione reddituale dell’anno in corso non è variata rispetto a quella dichiarata a consuntivo per l’anno precedente.

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