Secondo un recente rapporto dell’Ocse in Italia il tasso di occupazione è più alto tra gli immigrati che tra i nativi. Ovviamente il tutto si riconduce al fatto che la maggior parte degli immigrati fa lavori dequalificati e in nero.
Perché gli immigrati risultano occupati
Nel nostro paese, secondo il rapporto dell’Ocse “Settling In 2018: Indicators of Immigrant Integration”, il tasso di occupazione degli immigrati è pari al 60% contro una media Ocse del 67%. Il dato fa pensare guardando al tasso dei nativi, che è del 58%.
Si apre, in tal senso, il discorso più ampio relativo ai lavori atipici e precari di cui l’Italia è da tempo regina. La maggior parte degli immigrati operano nell’edilizia o servizi assistenziali oppure in piccole aziende a conduzione familiare dove il fenomeno dei lavori informali è più importante e più difficile da contrastare.
Il rischio povertà
Il rapporto dell’Ocse fa notare come la più alta concentrazione di immigrati sono impiegati in particolari settori come quello edile, manifatturiero per gli uomini e quello relativo ai servizi di assistenza alla persona per le donne. Alte percentuali emerse dal rapporto sono legate al rischio povertà relativa, che nel caso degli extra comunitari è pari al 40% mentre la media Ocse è del 29%. Solo pochi giorni fa, parlando proprio della povertà relativa in base agli ultimi dati Istat, era emerso che un individuo per poter essere inserito nello schema delle persone a rischio doveva rispettare alcuni parametri. A tal proposito potrebbe interessarti anche Un italiano su quattro a rischio povertà: la triste mappa dell’Istat in cifre
Tornando al discorso sugli immigrati, il rapporto ha anche messo in luce che uno dei problemi italiani è rappresentato dall’integrazione dei figli degli immigrati che sono sempre di più sul mercato del lavoro.
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