Sono arrivate a sorpresa le dimissioni di Roberto Cingolani da ministro della Transizione ecologica. E le motivazioni sono a dir poco imbarazzanti per un governo che osa definirsi “dei migliori”. La missione sarebbe stata compiuta, a detta dell’interessato, perché il suo compito sarebbe stato sostanzialmente quello di contribuire a scrivere il Pnnr, in cui la transizione ecologica è parte centrale. Adesso, spiega, resta la sola fase dell’implementazione, ruolo per cui il ministro uscente non sarebbe più indispensabile.
Parole ridicole, che denotano supponenza e distacco dalla realtà.
L’Italia è stata costretta a riattivare la produzione di carbone per mitigare il caro bollette. Non che le responsabilità siano state di Cingolani, essendo un fenomeno europeo, ma non si capisce cosa il ministro abbia fatto per frenare la corsa dei prezzi e gestire quella transizione ecologica che le era stata assegnata a febbraio dal premier Mario Draghi. Manager di Leonardo, voluto dal Movimento 5 Stelle, proprio con il mondo “grillino” Cingolani non è andato granché d’accordo in questi mesi.
Cingolani fugge dal caro bollette
Va riconosciuto all’uomo un pragmatismo che manca ai 5 Stelle sui temi dell’ambiente. Egli propugna, ad esempio, lo sfruttamento del gas nel sottosuolo italiano e il ricorso al nuovo nucleare per contribuire all’indipendenza energetica da un lato e a un’economia più green dall’altro. Ma i suoi riferimenti politici ne sono diventati anche detrattori. Ad ogni modo, le dimissioni di Cingolani hanno tutta l’aria di una fuga.
I 3,8 miliardi di euro destinati dal governo contro il caro bollette non basteranno affatto a mitigare i prezzi. Peraltro, l’Italia resta senza una strategia energetica credibile a lungo termine. Draghi è stato costretto alla conferenza stampa di fine anno a invocare una tregua nella “guerra” tra Europa e Russia per ottenere l’abbassamento dei prezzi del gas. Ecco, questo episodio svela tutta la fragilità del Vecchio Continente nell’implementare una transizione ecologica senza alcuna attinenza con la realtà e, in particolare, di un’Italia priva della fonte nucleare, che ancora ha un peso preponderante presso tutte le altre grandi economie europee.
Sul piano politico, le dimissioni di Cingolani rischiano di provocare un effetto domino. Nel caso in cui il premier tecnico andasse al Quirinale, a quel punto tutti i ministri tecnici si sentirebbero quasi autorizzati a lasciare il governo, facendolo naufragare. D’altra parte, anche nel caso in cui Draghi rimanesse a Palazzo Chigi, ciò sarebbe percepita come una sconfitta dei tecnici, i quali andrebbero via. Ma questo esecutivo si tiene unito con lo sputo. Non può permettersi di perdere diverse tessere senza venire giù. E una volta caduto, rimetterlo in piedi sarebbe pressoché un’operazione politica impossibile.