Venti milioni di elettori sono stati chiamati ieri alle urne in Venezuela per rinnovare l’Assemblea Nazionale, un organismo che dal 2015 è dominato di gran lunga dai partiti dell’opposizione e che, però, è stato privato dal regime “chavista” di qualsivoglia potere effettivo. Ai seggi, le file sono state abbastanza brevi, anche se dal governo si sono affrettati a commentare che ciò sia stato dovuto all’efficienza del processo elettorale. Pare che solamente il 31% degli aventi diritto abbia voluto votare, sebbene lunedì scorso dal numero due dell’esecutivo, Diosdado Cabello, fosse arrivato un duro avvertimento ai cittadini: “chi non vota, non mangia”.
Il riferimento è stato al programma alimentare del governo, che fornisce mensilmente qualche porzione di riso e altri prodotti primari alla popolazione stremata dalla fame. E’ noto da anni che i cosiddetti “cesti alimentari” o CLAP arrivino preferibilmente, se non forse esclusivamente, alle famiglie che dimostrino di essere sostenitori del regime. Ad ogni modo, Nicolas Maduro rivendica la vittoria. Dal suo entourage fanno sapere che i “chavisti” hanno conquistato il 67% dei seggi, guarda caso lo stretto necessario per approvare modifiche alla Costituzione. Juan Guaido, auto-proclamatosi presidente del Venezuela nel gennaio del 2019, ha definito “farsa” le elezioni di ieri, così come il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha dichiarato che queste sarebbero state “una frode e una vergogna” e non vere elezioni.
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Ad ogni modo, per ammantare il voto di una parvenza di democrazia, la Corte Costituzionale in mano al regime ha riconosciuto la competizione di partiti fintamente all’opposizione e i cui membri risultano essere stati espulsi dai veri oppositori per connivenza con il governo. USA ed Europa non hanno riconosciuto i risultati delle presidenziali di fine 2018, quando Maduro ottenne il secondo mandato, in barba a ogni elementare regola di competizione libera e democratica.
Famiglie nella miseria più assoluta, regime sempre forte
Mentre si attende di conoscere quali sarebbero le prossime mosse della nuova amministrazione americana di Joe Biden, quel che è certo è che l’economia venezuelana ha perso circa il 75% dal 2013, anno in cui Maduro succedette a Hugo Chavez. L’inflazione continua ad attestarsi tra il 4.000% e il 6.000%, mentre le estrazioni di petrolio si sono quasi prosciugate, scendendo sotto i 500 mila barili al giorno. La materia prima incide per il 99% delle esportazioni venezuelani, praticamente è l’unica fonte di accesso ai dollari di Caracas. E proprio i pochi dollari circolanti nel paese hanno ormai sostituito ampiamente il bolivar dal valore nullo negli scambi. La miseria è diffusissima, tant’è che 5 milioni su una popolazione di 31 milioni di abitanti sono fuggiti dal Venezuela in cerca di un posto in cui sia almeno possibile mangiare un paio di volte al giorno. Secondo uno studio dell’Università Nazionale Cattolica di Andres Bello del Cile, il 96% delle famiglie vivrebbe in povertà e il 64% in povertà estrema.
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A causa della scarsa offerta energetica, la luce va e viene tutti i giorni nelle abitazioni e i blackout sono diventati la regola. Quello che sarebbe dovuto essere il “paradiso socialista” si è trasformato in un inferno al quale non esisterebbe alcun rimedio immediato. Nessuno crede più alla politica, anche tra gli oppositori prevale la sfiducia di un cambiamento immediato e forse questo è il sentimento su cui fa leva maggiormente Maduro per restare in sella, malgrado i disastri provocati alle vite quotidiane di un’intera popolazione.