Le imprese non trovano lavoratori, non c’entra solo il reddito di cittadinanza

Mancano i lavoratori, le imprese non riescono a trovarli. Tutta colpa del reddito di cittadinanza? Non solo. Ci sono ragioni profonde.
2 anni fa
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Imprese a corto di manodopera

L’Italia è uno dei paesi occidentali con il minore tasso di occupazione. Su 100 persone in età lavorativa (15-64 anni), posseggono un posto di lavoro in 59. In Germania sono più di 75, la media europea sfiora il 70%. Non è un mistero che sotto Roma il mercato del lavoro sia altamente disfunzionale. Si scende sotto il 50%, con punte minime di poco superiori al 40% in regioni come la Sicilia, tra le peggiori in Europa. Ci credereste se vi dicessimo, però, che esistano centinaia di migliaia di posti di lavoro vacanti? In altre parole, moltissime imprese sono a corto di manodopera e non riescono a trovare dipendenti, malgrado annunci per assunzioni anche con livelli retributivi dignitosissimi.

Prima dell’estate, le associazioni di categoria avevano lanciato l’allarme per la stagione turistica. Dai lavapiatti ai camerieri, dai bagnini ai cuochi, manca il personale. Tutta colpa del reddito di cittadinanza, a detta di molti. Una spiegazione semplicistica, per quanto parzialmente veritiera. Al Sud, gli stipendi sono mediamente assai più bassi del Nord. Se dai a un giovane 7-800 euro al mese per starsene sul divano, è evidente che non accetterà alcuna offerta di lavoro “in regola”. Non è un fatto di essere truffaldini o fannulloni, bensì trattasi di un incentivo sbagliato dello stato.

Non solo reddito di cittadinanza dietro ai posti vacanti

Tuttavia, il reddito di cittadinanza non spiega perché mai esistano anche al Nord tante posizioni rimaste inoccupate. Qui, l’incidenza dei percettori è bassissima e gli stipendi offerti ben maggiori del sussidio medio. Ed ecco che la domanda si fa ancora più interessante? Perché le imprese stanno facendo sempre più fatica a trovare nuovo personale. La Professoressa Marina Puricelli dell”Università Bocconi di Milano ha cercato di fornire uno spunto di riflessione sul tema. La docente fa risalire questa carenza di manodopera a fattori socio-culturali.

Spiega che un giovane italiano sui 25-30 anni di oggi proviene perlopiù da una famiglia in cui i nonni compirono grossi sacrifici per migliorare il tenore di vita proprio e dei figli.

Il livello d’istruzione è nettamente migliorato nel giro di un paio di generazioni, ma questo incremento veloce del benessere si è portato dietro anche qualche effetto collaterale. Oggi come oggi, molti giovani credono di essere sprecati per la gran parte dei lavori offerti. Vorrebbero un’occupazione in linea con gli studi svolti. Il benessere a cui le famiglie li hanno abituati li induce a persistere in questa loro idea. Del resto, si chiede la Professoressa, si tratta di un comportamento perfettamente razionale, comunque tendiamo a giudicarlo.

In effetti, il problema di molti giovani di oggi non è solo e tanto la paghetta di stato, che certamente ha acuito una condizione già in sé negativa sul mercato del lavoro. Se andiamo in giro, notiamo locali sempre pieni, alberghi e aerei in overbooking, giovani in vacanza, universitari che studiano all’estero grazie a programmi come l’Erasmus come se non se ne potesse fare a meno, che guidano auto di proprietà anche costose, e tutto questo senza mai lavorare. Da dove arriva il denaro per permettere questo stile di vita? Chiaramente dai genitori.

La ricchezza delle famiglie finanzia le velleità dei giovani

Un paese con queste inclinazioni culturali difficilmente insegna alle nuove generazioni lo spirito di sacrificio che fu dei padri e, soprattutto, dei nonni. Tutto è dovuto, tutto è consentito. In moltissimi casi anche la casa è gentilmente offerta da papà e mamma. Del resto, i numeri parlano chiaro. Le famiglie italiane posseggono una ricchezza netta di 10.000 miliardi di euro, circa 5,5 volte il PIL. Siamo invidiati per questo da tutto il mondo. Pensate che le ricchezza privata tedesca non va oltre le 2,5 volte il PIL. Eppure i tedeschi sono pieni di lavoro, noi italiani no.

Ci sono offerte di lavoro mal retribuito? Certo che sì. I casi di cronaca sono numerosissimi e quotidiani in tal senso. Fanno bene i giovani a rifiutarli, perché questo è il mercato. Ma ci sono tante offerte di lavori dignitosissimi e retribuiti il giusto, che rimangono senza risposta. Su LinkedIn, giorni fa un imprenditore nel settore orafo scriveva che due anni fa aveva pubblicato l’annuncio per la ricerca di una posizione di commessa, ricevendo quasi 300 curriculum in una settimana. Quest’anno, lo stesso annuncio di curriculum ne aveva attirati solo due.

Sarà che la pandemia ha fatto riscoprire la bellezza del riposo, sarà che i generosi sussidi elargiti dallo stato hanno finito con il distruggere il mercato del lavoro. Sarà anche che molti giovani stanno crescendo con l’idea che le imprese ne debbano rincorrere le ambizioni. E finché saranno foraggiati a colpi di paghetta congrua e benefit di ogni tipo dai genitori, non si piegheranno mai alla realtà. Ma così stiamo picconando decenni di ricchezza costruita dalle precedenti generazioni anche attraverso rinunce e grazie allo spirito del fare, rimpiazzato da tempo dallo spirito del pretendere. Rifuggiamo dai luoghi comuni, ma apriamo gli occhi sulla realtà: c’è un’Italia che si rifiuta di adeguarsi a quel che c’è solo grazie a genitori eccessivamente accondiscendenti. E questo sta mandando in malora il già malconcio mercato del lavoro.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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