Secondo le previsioni di crescita della Commissione europea, l’economia italiana quest’anno si espanderà del 2,4% e l’anno prossimo dell’1,9%. A febbraio, aveva stimato rispettivamente +4,1% e +2,3%. Questo significa che per Bruxelles il nostro Paese rallenterà bruscamente a causa della guerra tra Russia e Ucraina, che sta colpendo le catene di produzione e mette a repentaglio l’approvvigionamento energetico (e non solo) in Europa. Sappiamo, infatti, che il costo delle bollette è esploso a causa del boom di petrolio e gas.
Previsioni di crescita sempre più nere per l’Italia
Con il DEF di aprile, il governo Draghi aveva stimato una crescita per l’economia italiana del 3,1%. E dire che già avesse tagliato con l’accetta le sue stesse precedenti previsioni di crescita di settembre, le quali ipotizzavano un roboante +4,7%. Erano i mesi dell’ottimismo per il boom del PIL italiano, effettivamente cresciuto del 6,6% nel 2021, cioè nettamente sopra il +4,5% stimato a inizio anno.
Il 2,4% ipotizzato dalla Commissione equivale alla metà del 4,7% atteso dall’Italia solamente nell’autunno scorso. E nessuno di rassicura che sia stata l’ultima revisione al ribasso. Il PIL italiano nel primo trimestre ha segnato -0,2% rispetto agli ultimi tre mesi del 2021. Se ripiegasse anche tra aprile e giugno, l’economia italiana entrerebbe tecnicamente in recessione. E più dura la guerra, maggiori le probabilità che accada. Ma neppure una risoluzione del conflitto da qui a breve garantirebbe lo sgonfiamento delle quotazioni di petrolio, gas e derrate alimentari. Le relazioni commerciali tra Russia e Occidente sono state intaccate irreparabilmente. Finché il mercato globale non troverà un nuovo equilibrio, le tensioni persisteranno e i prezzi resteranno elevati.
Per il governo Draghi è una pessima notizia.
Il gioco dell’inflazione
Ma “per fortuna” c’è l’inflazione a compensare. Essa “gonfia” il valore nominale dei redditi, delle entrate e dello stesso PIL. Dunque, a fronte di 2-3 punti in meno di crescita, basterebbe conseguire 2-3 punti in più d’inflazione rispetto alle stime per non incorrere in problemi con i conti pubblici. Tant’è che la stessa Commissione stima un rapporto debito/PIL in calo al 147,9% per quest’anno e al 146,8% per il 2023.
Ma non è così semplice, come sa benissimo il nostro premier. Alta inflazione equivale a perdita del potere d’acquisto, cioè a taglio dei consumi non essenziali da parte delle famiglie. E come dimostrano le misure contro il caro bollette, il taglio delle accise e il bonus 200 euro, la spesa pubblica rischia di salire per aiutare i redditi a sostenere aggravi storici per le utenze e i generi di prima necessità. L’inflazione non sarà un perfetto maquillage per la malconcia economia italiana.