Manca la “yield” in tutta Europa. Ce lo diciamo da mesi, tant’è che sono in tanti gli investitori istituzionali a fuggire sui mercati emergenti per cercare di portare a casa valore per i clienti. In realtà, c’è Europa ed Europa. Se sembra scontato che un emittente con rating basso come l’Italia veda rendere i suoi BTp a 10 anni in prossimità ormai dell’1,40%, molto meno lo è con titoli di stato dal giudizio niente di meno che “AAA”. Sono le obbligazioni sovrane della Norvegia, che a inizio novembre sono arrivate a rendere l’1,60% per la scadenza decennale e attualmente viaggiano in area 1,45%, anche se meno dell’oltre il 2% di un anno fa.
Il petrolio tra i ghiacci li ha resi ricchi e già sono diventati “green”
Come mai così tanto? Non è certo per il rischio, visto che parliamo, come detto, di bond dal massimo merito creditizio per le agenzie di rating. E, infatti, la Norvegia virtualmente non solo non ha debito pubblico, ma ha un patrimonio attivo che gestisce tramite il fondo sovrano da oltre 1.000 miliardi di dollari. Il fatto è che la Norges Bank tiene i tassi all’1,5%, mentre la BCE li ha azzerati da tempo. In effetti, la Norvegia vive un ciclo economico separato dal resto d’Europa, con un tasso d’inflazione che si aggira al 2%, pur in calo dal 3% di inizio anno.
Il dilemma sulla corona
Tuttavia, la corona norvegese è più debole che mai, avendo toccato in ottobre i minimi storici contro l’euro e perdendo quest’anno oltre il 2,5%, ai minimi contro il dollaro da 20 anni a questa parte. L’andamento riflette molto quello del petrolio. Oslo è una economia petrolifera e quasi i due terzi delle sue esportazioni hanno a che vedere proprio con il greggio e i suoi derivati. Quando le sue quotazioni salgono, la corona si apprezza e viceversa.
La debole congiuntura internazionale tiene basse le previsioni sui prezzi, ma c’è come la sensazione che l’economia globale stia andando meno peggio di quanto si temesse qualche mese fa. L’America continua a crescere intorno al 2%, pur rallentando rispetto ai ritmi sostenuti dello scorso biennio, mentre la Germania ha per poco schivato la recessione tecnica e la Cina dovrebbe tenersi nei pressi del 6%. Insomma, non benissimo, ma nemmeno così male. Per l’OPEC, però, anche l’anno prossimo dovrebbe registrarsi un surplus di offerta, segno che la domanda sia attesa poco tonica.
Ad ogni modo, questo è già stato scontato dal mercato e, infatti, il Brent quota sempre intorno ai 60 dollari al barile. Se la corona norvegese smettesse di indebolirsi contro l’euro, quell’1,2% medio offerto dalla curva sovrana di Oslo ci sembrerebbe oro colato in una fase come questa: ci metteremmo in tasca rendimenti “all’italiana”, ma di titoli con rating molto elevati e con probabilità non remote di apprezzarsi per effetto del cambio. Non sempre è necessario uscire dall’Europa e rivolgersi ai mercati emergenti per prendersi qualche soddisfazione.
Mercato obbligazionario globale e quel segnale che arriva a sorpresa dalla Norvegia