Per andare in pensione nel 2024, tra nuove e vecchie misure, le strade sono davvero tante. Ma non sempre appare conveniente lasciare il lavoro in anticipo. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi è una soluzione controproducente che noi della redazione consigliamo di utilizzare solo nel caso in cui non ci siano alternative.
Perché chi ha perso il lavoro oltre i 60 anni di età per esempio, potrebbe trovare conveniente la pensione anziché mettersi alla ricerca di un nuovo lavoro, sempre più complicato da trovare.
Le pensioni anticipate nel 2024, ecco la soluzione ottimale per evitare tagli e penalizzazioni
Nel sistema molte misure hanno delle regole e dei meccanismi che le penalizzano rispetto alle prestazioni ordinarie. Ma anche senza penalizzazioni, uscire prima dal lavoro è sempre penalizzante. E adesso vedremo il perché, dal momento che siamo tempestati di quesiti sulle eventuali penalizzazioni delle pensioni anticipate.
“Salve, sono un lavoratore che nel 2024 potrebbe avere accesso alla nuova Ape sociale. Infatti compio i miei 65 anni a marzo e già oggi avrei 35 anni di contributi. So che servono 36 anni, essendo un lavoratore del settore edile. Ho un dubbio riguardo alla bontà della misura. Penso alle penalizzazioni di assegno e ai vincoli. Mi consigliate di aspettare per andare in pensione fino a 67 anni?”
“Buongiorno, secondo voi mi conviene andare in pensione con la quota 103 nel 2024, visto che potrei averne diritto, oppure mi conviene restare a lavorare altri 14 mesi, che sono quelli che mi mancano per arrivare ai 42,10 anni di contributi? Volevo un vostro parere perché sono combattuto tra le due ipotesi.”
“Ciao, sono Pamela, una lavoratrice che potrebbe andare in pensione nel 2024 con l’anticipata contributiva. Completerò infatti 20 anni di contributi a giugno e a 65 anni di età potrei dire basta.
Perché andare in pensione prima il più delle volte non conviene
Quelli sopra riportati sono solo tre quesiti che ci sono arrivati in redazione ma potevamo inserirne tanti altri della stessa natura. Di persone e lavoratori che ci chiedono un consiglio su quale sia la strada migliore per andare in pensione senza incorrere nelle penalizzazioni di assegno di cui tanto si parla, ce ne sono davvero tanti.
I quesiti prima citati però servono per dimostrare che, a prescindere dalle nuove misure che sono tutte evidentemente penalizzanti per chi vi accede, ci sono anche delle vecchie misure che per struttura prevedono altrettanto forti penalizzazioni di assegno. Infatti a prescindere da tutte le cose che si possono dire, andare in pensione in anticipo anche solo di qualche anno non è la cosa più favorevole che si possa fare se si pensa alla pensione che si andrà a prendere.
Ecco alcuni tagli alle prestazioni anticipate 2024
In diversi nostri precedenti articoli abbiamo sempre sottolineato come sia l’Ape sociale che la nuova quota 103 nasceranno per il 2024 ricche di penalizzazioni. Naturalmente anche opzione donna è una prestazione che ha dei tagli di assegno al suo interno. Ma anticipare la pensione anche con le misure strutturali come lo è la pensione anticipata contributiva a 64 anni di età, non è esente da tagli.
Come dicevamo, il motivo è strutturale, perché si tratta delle regole di calcolo delle prestazioni. Sistemi di calcolo che, per chi esce in giovane età, rischiano di essere fortemente penalizzanti. Perché i coefficienti di trasformazione dei contributi Inps (versati dal diretto interessato) in pensione, sono tanto più sfavorevoli, quanto più giovani si esce dal lavoro. E in seguito capiremo il meccanismo.
Dalla quota quota 103 all’Ape social, ecco perché a volte sarebbe opportuno aspettare occasioni migliori
Uscire con la nuova quota 103 nel 2024 significa uscire anche a 62 anni di età purché sono stati raggiunti 41 anni di contributi versati.
In pratica gli interessati alla quota 103 nel 2024 subiranno la stessa penalizzazione di assegno che subiscono le donne da sempre, se sfruttano opzione donna. Pertanto, chi lascia il lavoro con la quota 103 perderà una buona parte della pensione. A penalizzazione però si aggiunge penalizzazione. Perché per la quota 103 l’importo massimo dell’assegno previdenziale che si può prendere non può superare le 4 volte il trattamento minimo INPS. Altra penalizzazione quindi.
Ma parlando di una misura che ha 41 anni come soglia contributiva, molti potrebbero trovare conveniente continuare a lavorare per altri 22 mesi in modo tale da raggiungere le pensioni anticipate ordinarie. Che non prevedono calcolo contributivo e tetto massimo di pensione fruibile.
Ape sociale con calcolo favorevole, ma con tagli derivanti da altri vincoli
Con l’Ape sociale invece, il calcolo della pensione non è contributivo, ma non vuol dire che non ci siano penalizzazioni. Infatti l’assegno non può superare in nessun caso i 1.500 euro al mese. Oltretutto restano tutti i vincoli del passato. Dal niente maggiorazione sociale all’assenza della tredicesima e alla mancata indicizzazione. Penalizzazioni vere, che durano fino ai 67 anni di età.
Come durano anche quelle dell’importo minimo della pensione per la quota 103 (a 67 anni addio al vincolo delle 4 volte il trattamento minimo). Ma per quest’ultima misura e per il suo calcolo contributivo, il taglio della pensione diventa definitivo e senza ritocchi a 67 anni.
La pensione anticipata contributiva, ecco perché a 64 anni si prende meno di 67 anni
Non hanno diritto a un calcolo diverso dal contributivo invece, quanti arrivano a 64 anni di età e 20 anni di contributi, con versamenti iniziati dopo il 31 dicembre 1995. Per loro c’è la pensione anticipata contributiva.
Infatti stoppare la carriera prima dei 67 anni ed uscire a 64 anni significa non versare 3 anni di contributi. Un fatto che evidentemente incide sulla pensione e sugli importi. Ma non c’è solo questo. Infatti c’è da fare i conti con dei coefficienti che a 64 sono meno “buoni” che a 67 anni. Per il 2023 i coefficienti sono:
- 57 anni di età 4,27%
- 58 anni di età 4,38%
- 59 anni di età 4,49%
- 60 anni di età 4,62%
- 61 anni di età 4,74%
- 62 anni di età 4,88%
- 63 anni di età 5,03%
- 64 anni di età 5,18%
- 65 anni di età 5,35%
- 66 anni di età 5,53%
- 67 anni di età 5,72%
- 68 anni di età 5,93%
- 69 anni di età 6,15%
- 70 anni di età 6,40%
- 71 anni di età 6,66%
Quelle percentuali non sono altro che i coefficienti con cui il montante contributivo si moltiplica (dopo la sua rivalutazione), per arrivare alla pensione mensile che l’INPS liquida ai pensionati. Nel sistema contributivo infatti, tutti i contributi che mese per mese versa un lavoratore, finiscono in quella specie di salvadanaio che è il montante contributivo. Il totale dei versamenti moltiplicato per il relativo coefficiente dà la rendita mensile della prestazione.