La riforma pensioni che verrà non potrà che essere meno favorevole per chi vuole lasciare il lavoro in anticipo. Il premier Draghi lo ha fatto capire chiaramente dato che non è più possibile creare altro debito per sostenere la previdenza.
Cosa significa questo? In sostanza, per il futuro, chi vorrà andare in pensione prima dei requisiti ordinari previsti dal nostro ordinamento deve essere disposto ad accettare un taglio agli assegni.
Le pensioni a 62 anni solo col sistema contributivo
Più nello specifico, la riforma pensioni sarà improntata su criteri di flessibilità.
Anche per chi ha versato contributi prima del 1996. L’ipotesi a cui lavora il governo è infatti quella di permettere l’accesso alla pensione con qualche anno di anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia (67 anni) a patto che si rinunci al calcolo retributivo della pensione per la parte di competenza.
Il meccanismo sarebbe quello già messo in pratica per Opzione Donna e che consente alle lavoratrici di lasciare il lavoro prima del tempo rinunciando al sistema di calcolo misto della pensione.
Le vie della flessibilità in uscita
Del resto le pensioni anticipate a 62 anni, come avvenuto con quota 100, costano troppo con le attuali regole di calcolo nel regime misto. Unica soluzione sarebbe quella di ridimensionare o eliminare del tutto il calcolo della pensione per la parte retributiva (ante 1996), più onerosa, a favore di quella contributiva.
Ne deriva una penalizzazione degli assegni che in alcuni casi potrebbe raggiungere anche il 30% rispetto ai requisiti Fornero. A tal fine si sta studiando anche di limitare l’accesso alla pensione anticipata se non si matura una pensione pari ad almeno 1,5-2,5 volte il valore dell’assegno sociale.
In alternativa, però, si potrebbe ricorrere al sistema flessibile proposto dall’Inps che prevede la liquidazione della pensione in due tranches a partire da 63-64 anni. E’ questa la seconda via di flessibilità in uscita dal lavoro che potrebbe consentire allo Stato di sostenere la spesa pubblica nel lungo periodo.