Basta con le quote pensioni e con le mezze misure temporanee per evitare il ritorno alle regole Fornero. Tanto ormai è quasi già così per tutti. E non da oggi, ma da un anno, da quando è stata varata la tanto contestata Quota 102 per il dopo Quota 100.
Il Ministro del Lavoro Marina Calderone, nel corso di un’audizione al Senato, ha spiegato quali sono le linee guida per la prossima riforma delle pensioni. Fissando anche un primo appuntamento con le parti sociali: il 19 gennaio 2023.
La riforma pensioni secondo Calderone
Calderone parla di una riforma pensioni solidale e sostenibile. Cosa significa? Per usare le parole del ministro si tratterebbe di:
un sistema di forme di pensionamento integrate che consenta di individuare l’accesso a pensione più compatibile con le esigenze personali e sanitarie del lavoratore e al contempo di ricambio generazionale dei datori di lavoro.
In altre parole si tratta di implementare un sistema in grado di prevedere delle opzioni di pensionamento maggiormente “compatibili con esigenze personali e sanitarie dei lavoratori“, per favorire anche un adeguato ricambio generazionale.
Si punta, in questo senso, su una maggiore flessibilità in uscita dei lavoratori in base a quanto già previsto per Ape Sociale con prepensionamento per particolari categorie di lavoratori disagiati o gravosi.
Futuro incerto per i giovani
E per i giovani? Il futuro resta incerto, come da annali promesse dei governi che hanno preceduto quello della Meloni. Sarà così anche con la riforma (se ci sarà). Intanto si pensa a quelli che stanno per andare in pensione e che premono per uscite anticipate.
Inutile raccontare che Calderone si stia preoccupando delle pensioni dei giovani – dicono gli esperti – perché non è così.
Ma ci saranno anche meno garanzie. La pensione minima per i giovani lavoratori è un sogno. Spetta infatti solo a chi può vantare contributi versati prima del 1996, cioè a coloro che non sono più giovani. Quindi pensioni da fame se non si potrà godere di una carriere piena e ininterrotta.
Anno zero per il Tfr
Unica cosa certa, come trapela dalle parole di Calderone, sarà il potenziamento dello scippo del Tfr (trattamento di fine rapporto). I sindacati sono infatti in pressing sul Governo affinché siano adottati provvedimenti di potenziamento del silenzio assenso. Cioè quell’istituto che permette di destinare in automatico i soldi dei lavoratori nei fondi pensione senza chiederne il permesso.
Con la promessa (ovviamente) che la previdenza complementare sarà sempre più necessaria per garantire una pensione adeguata ai giovani lavoratori. E con l’incentivazione a pagare meno tasse al momento del riscatto del cosiddetto secondo pilastro.
Dal prossimo anni, infatti, la previdenza complementare sarà potenziata e incentivata affinché possa raggiungere i livelli e l’importanza della previdenza obbligatoria. Attraverso nuove campagne di sensibilizzazione all’adesione ai fondi pensione e un “nuovo anno zero” per la destinazione del Tfr alle forme di previdenza complementare.
Tutte manovre che faranno solo la felicità e gli interessi dei gestori di fondi pensione. Non certo dei lavoratori che si vedranno sottratti la disponibilità del Tfr e si accolleranno tutti i rischi di mercato, come avvenuto col crac dei fondi in Gran Bretagna lo scorso mese di ottobre.
Le pensioni degli altri
Tutti buoni propositi che hanno un unico obiettivo: quello di garantire la pensione a chi già la prende, ma non a chi la deve ancora ottenere.
A monte c’è però un terribile problema: il cronico calo demografico. Da anni è in atto un depauperamento di giovani in Italia che non trova paragoni nella storia più recente. Anche l’apporto dell’immigrazione pare insufficiente a contenere la crisi sociale. Ne va ovviamente della tenuta del sistema pensionistico.
I giovani saranno costretti a lavorare più a lungo per mantenere le pensioni degli anziani. E con salari ormai del tutto inadeguati al costo della vita. Per dirla con le parole del presidente dell’Inps Pasquale Tridico:
un sistema pensionistico di una popolazione di 60 milioni di abitanti non si può reggere nel lungo periodo con 23 milioni di persone che lavorano. Nel nostro Paese mancano circa 10 milioni di lavoratori“.