Le previsioni errate di Bernanke e il disastro della Fed

Ecco la raccolta delle affermazioni smentite dai fatti del governatore della Federal Reserve che, più che fare previsioni, sembra prendere atto, di volta in volta, di quanto già è accaduto
12 anni fa
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Il presidente della Fed Bernanke è stato duramente criticato da Zerohedge

Grazie alla rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca ha visto salvo il proprio posto alla guida della Federal Reserve, ma ha rischiato di essere defenestrato da un’eventuale vittoria dei repubblicani, che vedono Ben Bernanke il fautore di un possibile disastro.

Su Zerohedge di ieri è stata pubblicata una raccolta sintetica delle dichiarazioni del governatore centrale americano, smentite clamorosamente dagli accadimenti dei mesi o, persino, delle settimane successive.

Era il luglio 2005, quando in un’intervista alla Cnbc smentiva l’ipotesi che si stesse dando vita a una bolla immobiliare, affermando che i prezzi delle case Usa non erano mai scesi negli USA su base nazionale e che, semmai, ci sarebbe stato solo un rallentamento della crescita o al massimo una fase stazionaria.

Tesi ribadita il 20 ottobre dello stesso anno davanti alla Commissione economica congiunta del Congresso, rassicurando che la crescita del 25% dei prezzi delle case in soli due anni sarebbe stata frutto di “solidi fondamentali”.

E sempre davanti alla stessa Commissione, il 28 marzo del 2007, qualche mese prima delle avvisaglie della crisi dei mutui subprime, il governatore affermava sicuro che i rischi erano molto contenuti.

Era il 17 maggio del 2007, quando prima del board della Fed di Chicago, sempre Bernanke dichiarava che l’impatto del sistema finanziario sui mercati sarebbe stato limitato e che il mercato dei mutui mostrava una buona performance.

Entriamo nell'”annus horribilis” dei mercati finanziari, il 2008. Era il 10 di gennaio e il governatore sentenziava: “la Federal Reserve non prevede alcuna recessione“, mentre il 27 febbraio, davanti alla Commissione bancaria del Senato, profetizzava “fallimenti possibili tra le piccole banche di rilievo regionale, ma non tra le grandi”. Siamo agli inizi di aprile, quando Bernanke afferma che l’istituto sarebbe rimasto vigile, dopo il crac di Bear Stearns, ma che non ci sarebbe stato in vista alcun altro fallimento.

A giugno, poi, dinnanzi a una conferenza di banchieri nel Massachussetts era convinto che i rischi di rallentamento dell’economia USA fossero “diminuiti”.

A settembre fallisce Lehman Brothers, il mondo viene risucchiato in una spirale recessiva e si rischia di piombare in una Grande Depressione in stile 1929. Bernanke inizia un programma aggressivo di forte allentamento monetario, spalleggiato dal nuovo inquilino democratico alla Casa Bianca. I tassi Fed vengono rasi a zero, la Fed acquista fino a 85 miliardi di dollari al mese di asset, tra cui la metà in titoli di stato USA, spingendo gli investitori alla ricerca di rendimenti più alti, da trovare in titoli più rischiosi, in quanto più remunerativi.

E’ il Federal Advisory Council and the Board of Governors del 17 maggio scorso a registrare i rischi di queste misure ultra-accomodanti di Bernanke-Obama: i mercati sono indotti ad addossarsi più rischi, i prezzi non riflettono più i fondamentali e non è detto che quando tali provvedimenti saranno attenuati si avrà un ritorno alla normalità. La stessa Fed non può più essere considerata neutra rispetto al mercato, avendo incrementato il suo bilancio dal 2008 ad oggi di 2,500 miliardi di dollari, il 15% dell’attuale pil americano.

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